giovedì 16 luglio 2009

Transformers 2: La vendetta del Caduto

Anno: 2009
Regia: Michael Bay
Distribuzione: UIP

Dopo il poco convincente Terminator: Salvation e il chiassoso Star Trek, forse a Hollywood dovrebbero ricominciare a parlare di sceneggiatura, invece di farcire le loro pellicole solo di effetti speciali stordenti. Infatti, se il primo Transformers vi era sembrato un “giocattolone” ben confezionato per grandi e piccini, questo secondo capitolo, dal sottotitolo accattivante de La vendetta del Caduto, vi sembrerà ancora di più sfacciatamente pretestuoso.

I Decepticons sono stati sconfitti dagli Autobots, ma non vogliono ancora arrendersi. Questa volta hanno in mente un piano per far tornare in vita niente meno che il primo della dinastia dei Prime, di cui Optimus, capo giusto degli Autobots, è un diretto discendente. Sam Witwicky e la fidanzata Mikaela, malgrado il loro rapporto sentimentale sia in crisi, verranno coinvolti ancora una volta nella battaglia…

Ennesimo blockbuster, popcorn movie, polpettone farcito fino a scoppiare di effetti speciali… insomma, chiamatelo pure come volete, ma Transformers: La vendetta del Caduto non smentirà la sua bieca natura di film-giocattolo indirizzato ai più piccoli. E sì, perché questa volta la produzione ha deciso di abbassare ulteriormente il target del pubblico. Aumentano gli effetti speciali e i personaggi buffi, aumenta anche la durata (quasi tre ore), ma tutto a discapito della sceneggiatura e persino della vera comprensione narrativa. Infatti, mai come in questo caso lo script risulta denso di lacune e approssimazioni tanto da far pensare in taluni casi che abbiano sbagliato montaggio in fase di post produzione, o che la pellicola che si sta vedendo non sia quella “definitiva”. Tra esplosioni e combattimenti all’ultima trasformazione (bellissima la scena di apertura ambientata in Cina), il film ha il suo climax in un lunghissimo combattimento finale ambientato tra le Piramidi d’Egitto che tira in mezzo l’esercito americano (tanta amato da Bay) e che, inserito senza un vero motivo all’interno della trama, odora di campagna di reclutamento per giovani spettatori.

Gli attori in questo caotico balletto metallico fanno la parte della comparse. Si salva solo la bellissima Megan Fox, il cui fisico mozzafiato è capace di sbalordire molto più delle macchine dei Transformers.

Diego Altobelli (07/2009)

Ultimatum alla Terra

Anno: 2009
Regia: Scott Derrickson
Distribuzione: 20th Century Fox

C’è un grosso problema alla base di questo Ultimatum alla Terra: il titolo. La ragione risiede nel fatto che nel 1951 - anno in cui uscì al cinema l’originale di Robert Wise di cui questo con Keanu Reeves vuole essere il remake – gli adattatori dei film americani dell’epoca ne cambiarono il titolo che da The day the Earth Stood Still (che suona in italiano tipo Il giorno in cui la Terra rimase immobile), si trasformò nel più roboante Ultimatum alla Terra, in quanto il film finiva effettivamente con il messaggio che l’alieno Klatuu lanciava al Mondo prima di ripartire con la propria astronave. Purtroppo, però, di “ultimatum” in questo remake diretto senza guizzi particolari da Scott Derrickson, non v’è traccia. Nessun messaggio. Nessuna rivelazione da dire al mondo. L’alieno riparte e stop. Ci si chiede, non senza un pizzico di polemica, se all’adattamento costasse grande fatica lasciare, questa volta, il titolo originale e magari mettere Ultimatum alla Terra come sottotitolo: misteri del Cinema made in Italy.

Andando oltre la polemica, doverosa però per chi ha amato l’originale del ‘51, passiamo alla recensione vera e propria.

La trama: un’astronave giunge sulla Terra. Da essa scendono Klatuu, un alieno dalle fattezze umane e Gort, un robot imponente e dai poteri sovrannaturali. Quando i due alieni vengono catturati dall’esercito, le loro strade si dividono. Ma mentre Klatuu riesce a fuggire, contando anche sull’amicizia di una scienziata e del figlio adottivo; Gort si trasforma in una specie di sciame di cavallette cosmiche che disintegrano qualunque cosa al loro passaggio. Fermare Gort diverrà lo scopo dell’alieno Klatuu, convinto al disperato gesto dall’amore mostrato dal bambino e dalla madre per la perdita di un loro caro…

Dopo Invasion, anch’esso tratto da un classico dei B-Movie degli anni Cinquanta, ci troviamo ancora davanti un remake mediocre. Nella pellicola di Scott Derrickson mancano tutti quegli elementi che avevano affascinato e reso celebre l’originale di Robert Wise. In particolar modo si avverte la mancanza del rapporto bambino-alieno, lì vera colonna portante della trama mentre qui solo accennato, e del già menzionato messaggio politico (molto inquietante, tra l’altro, che somigliava ai discorsi dell’ex-presidente americano Bush) che rendeva la pellicola di Wise un vero cult per gli amanti dei cosiddetti “film-propaganda”, di cui quelli di fantascienza degli anni Cinquanta e Sessanta, in piena Guerra Fredda, furono evoluzione diretta.

Keanu Reeves si muove sullo schermo con fare circospetto, richiamando alla mente più che la saga di Matrix, il sempre verde Johnny Mnemonic: la sua recitazione insomma piace, ma non appassiona. Migliorano le cose se si guarda la coprotagonista Jennifer Connelly, anche se la preferivamo al fianco dell’incredibile Hulk, invece che del poco credibile Klatuu. Grande Kathy Bates, invece, nella parte di una parlamentare che fa la veci del presidente degli Stati Uniti: nell'originale questo ruolo spettava a un uomo, prova provata dei tempi che cambiano.

Diego Altobelli (07/2009)

Duplicity

Anno: 2009
Regia: Tony Gilroy
Distribuzione: UIP

Nella sua seconda prova cinematografica Tony Gilroy conferma di essere un regista ambizioso. A volte con esiti eccellenti, come nel caso della finezza registica dimostrata con Michael Clayton, altre volte con esiti meno convincenti, come nel caso di questo Duplicity. In esso il regista si cimenta in un laborioso “doppio salto carpiato” cercando di accontentare sia gli amanti della commedia sofisticata che quelli delle spy story.

Claire Stenwick e Ray Koval, sono due agenti segreti perdutamente innamorati l’uno dell’altra. Col passare del tempo della loro complicata relazione, finiscono per concepire un piano per fare molti soldi alle spalle di due multinazionali di cosmetici. Quindi, da infiltrati e finti avversari i due rubano i progetti per un segretissimo prodotto “rivoluzionario”. Farla franca sarà assai complicato…

Con Duplicity, Julia Roberts e Clive Owen danno vita a un gioco delle parti tanto vorticante quanto imprevedibile. Duettando tra Dubai, Roma, Miami e Cleveland, sorseggiando Margarita e affittando suite in hotel a 5 stelle, i due splendidi agenti segreti si ritrovano incastrati in un intreccio più grande di loro. La soluzione per uscirne? Ironia e tanta classe. Così, assecondando una sceneggiatura che si fonda sul concetto di “duplicità” espresso dal titolo, i due divi alternano registri interpretativi diversi. Prima si odiano, poi si amano, quindi si inseguono, poi si lasciano; mentre le due multinazionali per cui lavorano, guidate dagli immensi Paul Giamatti e Tom Wilkinson, si sfidano all’ultimo “prodotto” escogitando piani improbabili per prendere l’una il sopravvento sull’altra. Tradotto: un andirivieni ad alto tasso alcolico di salti temporali, flash back, colpi di scena, dialoghi contraddittori e déjà vu. Complicatissimo.

Il problema di Duplicity risiede quindi nella sua eccessiva ambizione stilistica. La regia, ancora una volta di gran classe, perisce sotto il peso di una sceneggiatura troppo letteraria, troppo rocambolesca, non adatta insomma a conficcarsi nello sfuggente, ma solo perché basato sull’immediatezza, meccanismo del Cinema.

Di peso importante, Duplicity è un film che dimostra ancora una volta la grande bravura di Tony Gilroy che speriamo di rivedere presto dietro la cinepresa. Questa volta però, appare evidente che l’asta che vuole provare a saltare è posta troppo in alto sui pali della comprensione.

Diego Altobelli (07/2009)
estratto da http://www.moviesushi.it/html/recensione-Duplicity_Il_doppio_avvitamento-1687.html

Un'estate ai Caraibi

Anno: 2009
Regia: Carlo e Enrico Vanzina
Distribuzione: Medusa Film

E come ogni Natale, ora anche ogni estate abbiamo la nostra buona dose di cine - panettone, abilmente ridefinito “cocomero” per stare al passo con la stagione più che coi tempi. Si cambia registro, in qualche modo, e al posto della formula episodica, si torna a quella della storia a intreccio che già ha fatto la fortuna dei fratelli Vanzina da Vacanze di Natale (1983) a oggi.

Nella cornice dell’isola di Antigua, provincia dei Caraibi, si alternano le vicende di un gruppo di italiani. Giacomo e Roby sono due amici di vecchia data che hanno l’opportunità di cambiare la loro vita... Vincenzo e Anna sono due amanti che decidono di passare una settimana di vacanza insieme: peccato che ad attenderli sull’isola ci siano i parenti di lui... Max scopre che la sua ex ragazza se la fa con il suo migliore amico, decide così di pagare una bella del luogo per farla ingelosire... Alberto è un romano che vive di espedienti sull’isola di Antigua, troverà il modo di riscattarsi... Infine Angelo è l’autista di Remo, “grosso” imprenditore romano. Dopo tante umiliazioni, Angelo decide di vendicarsi del suo datore di lavoro...

Quest’anno il cast è meno ricco, ma più succoso del precedente. Confermati Gigi Proietti, Enrico Brignano, Biagio Izzo e Alena Seredova; new entry di Martina Stella e Paolo Ruffini che spiccano sui comunque apprezzabili Enrico Bertolino e Carlo Buccirosso. L’esito della pellicola è decisamente migliore del precedente capitolo. Pur mantenendo la leggerezza che da anni contraddistingue la serie dei Vanzina, quest’anno si mostrano delle idee migliori e il cast risulta in qualche modo più... “concentrato sull’obiettivo”. Recitazione efficace, quindi, anche grazie ai duetti originali come Mattioli - Brignano e Bertolino - Buccirosso, che sono capaci di distrarre dalle solite sbavature lasciate dalla regia. Buona anche la sceneggiatura, malgrado ci si aspettasse qualcosa di più dall’episodio di Proietti dopo la esilarante sequenza regalataci lo scorso anno dell’attore dislessico; e quindi un film nel complesso disteso e apprezzabile. Tanto da poter quasi dire che ci troviamo davanti i Vanzina al loro meglio. Abbiamo detto, quasi.

Le perplessità rimangono, in un genere che ogni anno ricorda a se stesso di aver detto tutto. E che malgrado questo, ogni anno prova a rinnovarsi. Ma forse mancano volti davvero nuovi; forse viene meno la vera tecnica, la bravura, la capacità esclusiva dei veri commedianti di catalizzare l’attenzione con movenze, gestualità, modi di parlare... Gigi Proietti, in questo senso fa da capocomico in un panorama che comunque rimane televisivo. Un’estate ai Caraibi è migliore del precedente Un’estate al mare. Rispetto a quello risulta più compiuto, più ragionato, più divertito in senso strettamente cinematografico. Questo gli vale la sufficienza piena, e forse anche i Caraibi, rispetto al mare di Ostia (Roma), capaci come sono di far dimenticare la crisi economica, contribuiscono a salvare i Vanzina dal naufragio annunciato.

Diego Altobelli (07/2009)

mercoledì 15 luglio 2009

X-Men: Le origini - Wolverine

Anno: 2009
Regia: Gavin Hood
Distribuzione: 20th Century Fox

Hanno impiegato ben quattro anni per realizzarle, ma finalmente le origini di Wolverine sono disponibili sul grande schermo per la gioia di fan grandi e piccini.

Concepito alla fine di "X-Men 2", a cui questo prequel è strettamente legato, il nuovo film interpretato da Hugh Jackman, attore che pare stia prendendo le cose migliori da Mel Gibson e Clint Eastwood, è una roboante miscela di situazioni tratte da vari fumetti degli X-Men. I patiti del comics Marvel, infatti, come sempre cercheranno di rintracciare i singoli episodi fumettistici ("Arma X", "Attrazione Fatale", "La saga di Genosha") e i personaggi, rimanendo stupefatti delle scelte operate dal regista di turno. In questo caso il maestro Gavin Hood, lo stesso dell’intenso e introspettivo "Il suo nome è Totsi".

La storia si apre con la triste infanzia di Wolverine e Victor Creed (futuro Sabretooth), e scopriamo che i due sono fratelli. Dopo un lungo periodo di vita insieme combattendo tutte le guerre del Mondo, Wolverine decide di rifugiarsi pacificamente su una montagna in Canada e lavorare come boscaiolo. Purtroppo, sulle sue tracce si mette proprio il fratello, guidato dal Comandante Styker, che lo convince a sottoporsi a un esperimento genetico. Wolverine accetta, ma ben presto si pente della scelta fatta e tornare indietro non sarà affatto facile...

Ci troviamo davanti a quello che probabilmente è il film migliore della saga degli X-Men. In fondo, va detto chiaramente, anche gli altri film, pur essendo corali, si incentravano soprattutto sul personaggio di Wolverine quindi perché non farne direttamente uno su di lui? Scelta azzeccata, e dopo "Iron Man", troviamo un altro pezzo da novanta nella scuderia Marvel, che a differenza della rivale DC Comics ("Watchmen", "Dark Knight") decide di puntare sull’intrattenimento puro (in fondo cosa altro sono i fumetti?) abbandonando quasi ogni introspezione drammatica. "X-Men Origini: Wolverine", quindi, diverte, e tanto! Spazzando via in un attimo tutto ciò che avete letto del personaggio, e riscrivendo una storia a misura di Cinema. Entusiasmante.

Ottimi gli interpreti. Come già detto Hugh Jackman tiene le redini e come Wolverine è semplicemente fenomenale. Speriamo che non abdichi mai il ruolo a favore di qualcun altro! Il resto del cast diverte e convince. Ritroviamo il fratello di "Defiance – I giorni del coraggio" Liev Schreiber, nei panni di Sabretooth che gli calzano a pennello; diverte al contempo vedere il bellissimo Ryan Reynolds trasformato in mostro per il ruolo di Deadpool. Cameo per Dominic Monaghan, disperso dall’isola di "Lost" e ancora alla ricerca di un ruolo profondo sul grande schermo. Carenza di donne all’altezza della situazione, invece: i maschietti sono avvisati!Come sempre, del resto, non mancano i colpi bassi per gli appassionati. Vedere alcuni personaggi relegati a ruoli secondari (Emma Frost, Heather Hudson...) lascia l’amaro in bocca. Ma ormai è chiaro. Che siate d’accordo o no, alla Marvel devono aver pensato che Cinema non è Fumetto, e che di fatto i personaggi sulla pellicola vivono una vita alternativa rispetto a quella delle pagine stampate. E quindi ecco venire a conoscenza anche delle origini degli X-Men, con Ciclope che aiuta Wolverine a fuggire, o Emma Frost che soccorre i mutanti prigionieri nella solita "Alcatraz mutante".

Un gran casino? No, solo la fervida immaginazione Marvel, che malgrado anni e anni di saghe, storie e avventure continua a immaginare situazioni nuove o nuovi punti di vista. Re-inventandole e riscrivendole con la capacità, davvero magica, di rimanere fedeli a se stessi e a quei personaggi. Una capacità usata anche nei loro albi, che non ha mai smesso di stupire e appassionare.

Curiosità: Non perdetevi la piacevole sorpresa dopo i titoli di coda...!!

Diego Altobelli (07/2009)
estratto da http://filmup.leonardo.it/xmenoriginswolverine.htm

Angeli e Demoni

Anno: 2009
Regia: Ron Howard
Distribuzione: Sony Pictures

Tre anni dopo “Il codice Da Vinci” tornano Ron Howard e Tom Hanks nell’adattamento cinematografico di un altro best seller scritto da Dan Brown: “Angeli e demoni”, prima avventura letteraria avente come protagonista il docente di simbologia Robert Langdon.

Città del Vaticano. Alla morte del Santo Padre vengono rapiti tutti e quattro i cardinali che dovrebbero succedergli. Il piano è opera degli Illuminati, una setta profana che vuole distruggere lo Stato del Vaticano. Per fronteggiare tale minaccia, il concistoro assolda Robert Langdon per investigare sui rapimenti e salvare la Chiesa. L’uomo, quindi, comincia un’indagine che lo porterà nel luogo dove è custodito un angelo...

Leggendo Angeli e demoni, come anche il successivo Il codice Da Vinci, ci si chiede, non senza un pizzico di inquietudine, fin dove uno scrittore (artista, inventore, narratore, ecc..) possa spingersi nell’utilizzare, ai soli fini dell’intrattenimento, elementi della Storia e della Religione senza rendere conto di tutto ciò che su quegli stessi elementi è stato scritto o detto precedentemente. Dan Brown, maestro dell’intrattenimento scacciapensieri, della lettura da spiaggia o da viaggio in treno, affronta con estrema disinvoltura argomenti delicati con lo scopo evidente di muovere il seme del dubbio, infondere la teoria del complotto.

In questo caso, poi, niente di più semplice che andare a ripescare l’antico mito degli Illuminati, setta para-governativa che muoverebbe in gran segreto le fila del Mondo. Ron Howard e Tom Hanks, sottostando al gioco, usano tutta la loro esperienza per replicare, di fatto, lo stesso film che nel 2006 aveva tanto fatto parlare di sé. Quello che lo spettatore si vede davanti agli occhi è un film fotocopia, avente la stessa, medesima struttura narrativa: l'iseguimento iniziale, la scoperta del cadavere, l'indagine, e il luogo segreto rivelato alla fine. Ma non si tratta della piramide di vetro posta davanti al Louvre, ma qualcosa di estremamente simile a livello concettuale. Basti pensare che la storia è ambientata a Roma e che l’indizio è un angelo...

Il tutto si riduce a un film che risulta più gradevole del precedente, ma solo perché persino più improbabile.

Diego Altobelli (07/2009)

martedì 14 luglio 2009

Terminator Salvation

Anno: 2009
Regia: McG
Distribuzione: Sony Pictures

Tornano le macchine distruttrici nel futuro post atomico di Terminator, saga creata negli anni Ottanta, ormai giunta al suo quarto episodio. Dopo il poco riuscito terzo capitolo che vedeva le macchine impadronirsi della Terra, ora troviamo John Connor, comandante della resistenza, alle prese con un losco individuo, metà macchina e metà uomo, che proviene dal passato. Il suo retaggio è strettamente legato al destino dell’umanità...

Diretto da McG (Charlie’s Angels, e Charlie’s Angel più che mai) Terminator Salvation è un vero e proprio concentrato di azione. La trama esile, infatti, è studiata ad uso e consumo della computer grafica che tra macchine, robot, esplosioni e astronavi giganti, fa la gioia di ogni fan della serie. Purtroppo però, a questo si limita anche il film. Un flusso continuo e a tratti un po’ confuso di riferimenti, rimandi e deja-vu che più che appassionare e coinvolgere, stordiscono. La regia, dal canto suo, si diverte a creare la giusta tensione drammatica giocando proprio con questo aspetto. Dialoghi a effetto, frasi forti, ma manca quella suggestione che aveva caratterizzato soprattutto i primi due capitoli. Ed è proprio a quei due che questo Salvation si rifà più volentieri. Nel finale vediamo Connor sfrecciare su una super strada col sottofondo musicale dei Guns n’roses e una riproduzione inquietante di Schwarzenneger si eleva a nemico finale. Un colpo che ridesta l’attenzione del pubblico.

Vedendo Terminator Salvation, insomma, ci si diverte mentre gli appassionati rimarranno ripagati, anche grazie agli ottimi interpreti. Primo fra tutti Christian Bale, attore versatile che non delude mai le aspettative. Si ha la sensazione che dalla sceneggiatura poteva venir fuori qualcosa di più, ma chissà che col quinto capitolo non si arrivi anche da quel punto di vista a una perfezione per così dire "meccanica".

Diego Altobelli (07/2009)

Ken il guerriero - La leggenda di Raul

Anno: 2009
Regia: Toshihiro Hirano
Distribuzione: Mikado

Anno 19XX. Il mondo intero è sconvolto dalla terza guerra mondiale. Le città sono state spazzate via e l’acqua è diventata il bene più prezioso, spesso anche oggetto di bande di predoni e saccheggiatori. Tre uomini potrebbero riportare l’ordine mondiale e la pace: Toki, Ken e Raul, discendenti dell’Hokuto Shinken, sacra scuola di arti marziali. Ma se Toki, il più equilibrato dei tre, è intossicato dalle radiazioni nucleari ed ha quindi i giorni contati, rimane a Ken e Raul risolvere la faccenda in quanto, la scuola di Hokuto, prevede un solo successore. Ken basa la sua vita sul rispetto dei valori umani; Raul invece, conosce solo la forza e si auto proclama Imperatore del Mondo. Lo scontro è inevitabile...

Ammettiamolo: in Italia, molto rispetto per gli anime giapponesi non ne abbiamo mai avuto. Diciamolo pure senza vergogna. Dai tempi in cui Alessandra Valeri Manera, con un paio di forbici (come fosse una creatura della notte di certe fiabe gotiche), tagliuzzava scene e sequenze considerate troppo audaci o violente, le cose non sono poi cambiate di molto. Ne è la prova l’arrivo nelle sale di Ken il guerriero - La leggenda di Raul: un film che sulla carta potrebbe far rivivere certe emozioni a tanti trentenni appassionati, ma che soccombe inesorabilmente sotto i colpi di un adattamento italiano discutibile e una presentazione sgangherata. Il film diretto da Toshihiro Hirano, è infatti il terzo di una serie di cinque film dedicati ognuno a un personaggio della serie animata, e si ricollega concettualmente a un discorso iniziato nei manga usciti in questi ultimi anni in Giappone (inediti in Italia), volti ad ampliare la prima, antica serie (Hokuto no Ken, uscita nel 1983). Il primo film, col titolo La leggenda di Hokuto, è uscito in sordina in DVD; stessa cosa dicasi per il secondo capitolo di questa pentalogia, La leggenda di Julia. Ora, la domanda viene spontanea: come mai La leggenda di Raul esce nei cinema? Che abbiano pensato che Raul è più “fico”? Ci si chiede: ma che criterio è? Non bisognerebbe invece, considerare un’opera, quale essa sia, nella sua ottica globale? E invece, no. Quindi eccolo qui, in tutta la sua (non) magnificenza, il capitolo incentrato sulle gesta di Raul arrivare nelle sale italiane da solo. Purtroppo per la buona Yamato Video che distribuisce la pellicola, però, in questo caso il film d’animazione è anche bruttino e fondamentalmente inutile.

La sceneggiatura, scritta da Nobuhiko Horie, Yoshinobu Kano e Katsuhiko Kanabe, è la mera riproposta, noiosa e pedante, di alcune sequenze della prima serie. Ritroviamo Raul (inspiegabilmente con i capelli bianchi) legato sentimentalmente a tale Reina, (una rossa...), ma segretamente innamorato di Julia (mora?). Confusione di parrucchini a parte, il film risulta troppo prolisso, persino per il fan più sfegatato. La regia non si spinge molto oltre i primi piani e anche le scene di combattimento, che costituiscono l'ossatura della serie, non sono entusiasmanti come ci si aspetterebbe. Insomma, una delusione.

Infine, il doppiaggio altalenante e la resa grafica non eccelsa (anzi, proprio bruttina), completano il quadro già non entusiasmante. Dispiace parlare in questi termini di un film d’animazione giapponese, ma Ken il guerriero – La leggenda di Raul non riesce a rinnovarsi e a stare al passo coi tempi, risultando troppo antiquato e, in fondo, decisamente già visto. Oltretutto, di film riassuntivi della serie ne avevano già fatto uno (qualcuno se lo ricorda?), perché quindi questo? Probabilmente, visto in un’ottica più ampia, inserendolo cioè nella pentalogia, il film acquista più senso. Ma siamo in Italia, e grande rispetto per gli anime giapponesi non ne abbiamo mai avuto...

Diego Altobelli (07/2009)

Star Trek

Anno: 2009
Regia: J.J. Abrams
Distribuzione: Warner Bros

Se siete appassionati di Star Trek, non potete perdervi l’ultima pellicola del regista J.J. Abrahams dedicata alla celebre serie televisiva. Se invece non siete patiti di vulcaniani, klingoniani, navicelle spaziali e teletrasporti... andate a vedere comunque questo film perché non ve ne pentirete.

La storia di questo nuovo episodio della saga (in verità un vero proprio prequel) è l'origine della nave stellare Enterprise e del suo equipaggio. Scopriamo come James Kirk è divenuto il comandante della astronave, come il primo ufficiale Spock ha visto disintegrarsi davanti i propri occhi il pianeta natale e la prima volta che essi hanno salvato l’universo...

J.J. Abrahams colpisce ancora una volta nel segno. Dopo Mission: Impossible III, in cui celebrava le proprie serie televisive di maggior successo come Alias e Lost, ora l'autore reinventa la serie tv per antonomasia. Dimentichiamoci la compostezza delle situazioni, con Kirk sempre impassibile anche in mezzo alla battaglia; dimentichiamoci la freddezza di Spock, troppo calcolatore e logico nel suo parlare; e diamo il benvenuto a queste versioni adolescenti e, per questo, decisamente più vibranti. Dimentichiamoci del vecchio Star Trek, insomma...

Due ore dense di azione, esplosioni, viaggi temporali, combattimenti e dialoghi serrati. Questo è lo Star Trek di J.J. Abrahms che funziona alla perfezione. Un film che dimostra non solo quanto potenziale inespresso ha ancora la serie televisiva, ma anche quanto il regista sia abile a confondere lo spettatore, proponendogli un gioco di rimandi e deja-vu all’interno del film stesso. Tante sono infatti le situazioni che si ripetono (come Kirk in bilico su un precipizio, o la medicina usata per sanare improbabili malattie...) e tanti i rimandi anche alla serie televisiva.

Ottimi gli interpreti. Chris Pine e Zachary Quinto sono perfetti nei ruoli di Kirk e Spock, e l’apparizione di Winona Ryder convince e appassiona in un film che non dimenticherete facilmente.

Diego Altobelli (07/2009)

Una notte da leoni

Anno: 2009
Regia: Todd Philips
Distribuzione: Warner Pictures

Con Una notte da leoni torna il regista di Starsky & Hutch e Road Trip: Todd Phillips. L’idea alla base del soggetto era già stata sperimentata dal film Fatti strafatti e strafighe, dove due giovani non ricordavano nulla della notte precedente, ma in questo caso il risultato appare più maturo e anche più divertente.

Quattro amici si recano a Las Vegas per festeggiare l’addio al celibato di uno di loro. La mattina dopo alla peccaminosa nottata si svegliano nella stanza da letto senza ricordarsi nulla di quello che è avvenuto. Ma oltre al fatto di ritrovarsi sconvolti, con la camera da letto distrutta, una tigre nel bagno, un bebè abbandonato nell’armadio e decisamente malmessi, la cosa più grave è che colui che doveva sposarsi è scomparso. I tre "superstiti" cominciano così una caccia all’uomo per capire cosa è successo la notte prima...

Lasciare il titolo originale, The Hangover (letteralmente: postumi), avrebbe reso meglio l’idea alla base del film. Ma a parte questa minuscola inezia, dovuta all’adattamento italiano, si può affermare con estrema tranquillità che Una notte da leoni è semplicemente un irresistibile fiume in piena di risate. Dopo i titoli di testa che si ricordano per la musica curiosamente straniante, al punto da far dubitare di stare vedendo il film giusto (!), la commedia di Todd Phillips si propone come un film a metà strada tra Suxbad – Tre menti sopra il pelo e il già citato Fatti strafatti e strafighe. Il primo per la scelta degli attori, la cui fisicità ricorda quella dei ragazzi protagonisti del film di Greg Mottola; il secondo per l’idea di fondo, che come dicevamo era già stata utilizzata nella pellicola con Seann William Scott e Ashton Kutcher. In questo caso poi, proprio sulla recitazione, forse, si poteva pretendere qualcosa di più: nessuno dei protagonisti spicca sull’altro, e proprio per questo rischiano di essere facilmente dimenticati.

Ed è quindi la sceneggiatura il vero punto forte della pellicola. Si comincia con la (destinata a diventare) famosa tigre nel bagno, si prosegue con una specie di parodia di Tre uomini e un bebè (che viene anche citato da uno dei protagonisti), ci si innamora di una spogliarellista che ha il fisico mozzafiato di Heather Graham, e poi si finisce a fare i conti con una banda di cinesi malavitosi e con i cazzotti di Mike Tyson (sì, proprio lui!). Un vero e proprio viaggio, o "trip", come lo definirebbe il regista, ai confini della comicità.

Da non perdere i titoli di coda: tra i più divertenti della storia del Cinema.

Diego Altobelli (07/2009)

Miss Marzo

Anno: 2009
Regia: Zach Cregger, Trevor Moore
Distribuzione: 20th Century Fox

Dunque vediamo. Come definire Miss Marzo diretto dal giovane ed esordiente duo di registi Zack Greggor e Trevor Moore? Marchettone per Playboy? Spot pubblicitario fatto da sculettanti play-mate? Road movie demenziale e fracassone? Un po’ tutte queste cose, evidentemente.

Festa di fine liceo, Eugene e Tucker festeggiano non solo l’evento, ma anche la perdita di verginità di Eugene. La sua ragazza, infatti, lo sta aspettando al piano di sopra e non vede l’ora di unirsi al ragazzo. Purtroppo però Eugene beve troppo, sbaglia strada e finisce per precipitare per le scale della cantina. Il risultato è un trauma cranico e un coma irreversibile. Passano quattro anni e l’amico Tucker, per riportarlo alla vita, decide di tentare l’atto estremo di bastonarlo con una mazza da baseball. Incredibilmente funziona! Eugene esce quindi dal coma con la voglia di riabbracciare l’ex fidanzata, ma questa è diventata una coniglietta di Playboy e il ragazzo la vede ritratta come Miss Marzo...

Se siete alla ricerca di un concentrato di cattivo gusto, regia approssimativa, battute tanto demenziali quanto sciocche, e un insieme sfruttato male di play-mate, allora forse Miss Marzo è il film che fa per voi. La curiosità del film è che i giovani attori protagonisti della pellicola sono anche i registi, e purtroppo per noi si vede. Brutte inquadrature, un ritmo che vorrebbe essere frenetico (venendo incontro al genere teen comedy tornato in auge dai tempi di American Pie) ma che risulta tedioso, e una sceneggiatura troppo improbabile persino per un film di questo tipo. Per sopperire a tali mancanze poi, i due registi (due cervelli, mica uno) decidono di riempire i vuoti con primissimi piani su cose ripugnanti. Idea: le feci a spruzzo del protagonista. Idea: i testicoli mozzati di un uomo al posto dei quali sono state applicate due cannucce. Idea: Hugh Hefner (fondatore di Playboy) che piange il suo primo bruttissimo amore, una ragazzina strabica e cicciona. Sbagliati tutti i tempi comici. Eccessivamente forzate certe gag e certi dialoghi. Protagonisti antipatici. Ridere signori, prego. Oppure vomitare negli appositi secchi, che però dovrete portarvi da casa.

Una notte con Beth Cooper

Anno: 2009
Regia: Chris Columbus
Distribuzione: 20th Century Fox

Immaginate di essere a un Varietà quando arriva il momento del comico. Voi siete seduti in prima fila con i popcorn in mano pronti a ridere di gusto alle battute dell’umorista; questo allora sale sul palco, si mette al centro della scena e comincia il suo monologo. Solo che, ogni volta che dice una battuta, nessuno ride. E nemmeno voi! Immaginate allora l’imbarazzo e la delusione. Immaginate il silenzio, qualcuno che tossisce dal fondo della platea, qualche commento a denti stretti che non riuscite a capire, ma che pensate tra voi debbano essere decisamente più interessanti del blaterare di quell’attore fallito. E tutto a un tratto vi chiedete persino chi l’abbia fatto salire sul palco, o che cosa ci facciate voi lì… Siete riusciti a visualizzare la scena? Bene, perché questo è esattamente quello che proverete vedendo Una notte con Beth Cooper.

Denis Cooverman è lo sfigato del liceo. Un solo amico (gay), molti lividi e tante frustrazioni. Una di queste è quella di essere arrivato all’ultimo anno senza essere riuscito a dichiararsi all’amore della sua vita: Beth Cooper. Biondissima, fidanzatissima, virtualmente inarrivabile. Denis allora tenta il tutto per tutto e al discorso della consegna dei diplomi decide di parlare fuori dai denti. Quindi eccolo dichiarare davanti a tutta la scuola l’amore per Beth, ma non si ferma a questo. Visto che si trova, decide di invitare molti altri compagni a fare "outing" confessando anche alcuni loro segretucci. Inseguito dai nuovi nemici che lo vogliono letteralmente morto, Denis riuscirà comunque a passare la notte con il suo amore…

Eppure il regista Chris Columbus è uno di quelli che di esperienza ne hanno da vendere. Regista dei primi due Harry Potter, nonché di Mamma ho perso l’aereo e del relativo seguito, e persino de L’uomo bicentenario. E allora viene da chiedersi come mai il suo Una notte con Beth Cooper sia così noiosamente monocorde. La sceneggiatura annaspa fin da subito, con un incipit che fatica a decollare e dialoghi che malgrado le intenzioni non fanno mai ridere. Il soggetto, tratto dal romanzo I love you Beth Cooper di Larry Doyle (co-autore della sceneggiatura), pare vagare alla ricerca di un’idea, un’intuizione, una scena che si possa definire riuscita, senza raggiungerla mai.
Probabilmente anche gli attori hanno avuto il loro peso nella non riuscita del film. Nel ruolo del protagonista sfigato abbiamo Paul Rust, che vedremo di nuovo in Bastardi senza gloria, magari anche bravino, ma che qui pare scimmiottare il peggior Fantozzi e il più triste dei Woody Allen. La biondina di turno è l’ “eroica” Hayden Panettiere, a cui bisognerebbe dire di non ostinarsi a interpretare ruoli da “bella e impossibile” che proprio non gli riescono. Il resto del cast, infine, si piazza a metà strada tra il dimenticabile e il televisivo. Robetta, insomma.

Le uniche due cose interessanti da rilevare in Una notte con Beth Cooper sono: l’idea romantica alla base del soggetto (che strizza l’occhio agli amori idealizzati che si vivono in pubertà); e la dietrologia storica che si potrebbe fare su questo film. Dagli anni Ottanta a oggi abbiamo visto molte “rivincite dei Nerd” e molti Animal House, ma mentre lì i disadattati del contesto scolastico erano studenti mossi da sani ideali anarchici e rivoluzionari (vedi Belushi), qui (come nel recente Miss Marzo) troviamo liceali isolati da una società che non hanno la forza, né la voglia, di cambiare. Specchio di una generazione di ragazzi smarriti nella loro commiserazione.

Meditate gente, meditate.

Diego Altobelli (07/2009)

Coraline e la porta magica

Anno: 2009
Regia: Henry Sellick
Distribuzione: UIP

Coraline è una bambina di 11 anni che si trasferisce con la sua famiglia in una nuova casa ad Ashland, nell’Oregon. Senza amici e ancora lontana dall’ambientarsi nella nuova situazione Coraline, un giorno, per sopperire alla noia comincia a contare le porte e le finestre di casa. E’ così che ne scopre una, più piccola e nascosta da una carta da parati, che sembra attirarla a sé. Eccitata dalla scoperta, Coraline decide di attraversarla, ma dall’altra parte scoprirà un mondo che è lo specchio esatto di quello in cui vive. A farle da guida, un gatto parlante...

Suggestivo cartone animato realizzato con la tecnica dello stop-motion (o frame by frame) ottenuta mettendo in successione un fotogramma (o scatto) alla volta, Coraline richiama il fascino del celebre "Nightmare before Christmas", realizzato non a caso dallo stesso regista Henry Selick, con la novità di essere realizzato con la tecnica del 3-D Stereoscopico. L’esito è eccellente e di sicuro impatto, soprattutto nella fase finale della pellicola, quando Coraline rischia di rimanere imprigionata nel mondo alternativo tra ragnatele, bottoni, topi e streghe malefiche.

Tutti elementi che avvolgono lo spettatore e ne catturano, irrimediabilmente l’attenzione. Il 3-D, in questo caso specifico, sopperisce anche a una certa monotonia delle situazioni e a una sceneggiatura non esattamente originale. La porta magica, i genitori distratti, il gatto parlante, o l’amico imbranato, sono tutti elementi che odorano fortemente di già visto, soprattutto nelle favole gotiche stile "burton". Quindi, un buon film, ben realizzato e gradevole nel complesso, ma rivolto soprattutto a un pubblico dall’animo "dark".Eccellente invece il lavoro di doppiaggio nella versione originale affidato alla giovane e quotata Dakota Fanning, nel ruolo di Coraline. Ma la curiosità in questo senso è nel rintracciare Teri Hatcher (che forse ricorderete nel ruolo di Louise Lane nella serie "Louis e Clark", o meglio in "Desperate Housewife") nel doppio ruolo di madre e di strega.

Diego Altobelli (07/2009)

Outlander - L'ultimo vichingo

Anno: 2009
Regia: Howard McCain
Distribuzione: Eagle pictures

Film insolito questo "Outlander – L’ultimo vichingo", che dal titolo sembrerebbe una rivisitazione in chiave nordica de "L’ultimo dei mohicani". E invece, un po’ disorientati, ci si ritrova davanti a un ibrido fantasy/fantascientifico dai toni epici, i tratti del videogame e con qualche sequenza ispirata.

Anno 709 d.C, ci troviamo nei pressi del villaggio di Herot in Norvegia. Un’astronave aliena precipita in una vallata. Ne escono un uomo, Kainan, e un mostro, il Moorwen, a metà tra un drago una tigre e un camaleonte... Kainan, per non finire sbranato dalla bestia, fugge, ma viene catturato dagli abitanti di Herot. In breve tempo, comunque, l’uomo entra nelle grazie dei vichinghi, e con loro cercherà di uccidere la bestia che gli dà ancora la caccia...

Il regista Howard McCain, alla sua prima regia, ha dichiarato di essersi ispirato al poema epico Beowulf, che mentre era ancora al college, e molto tempo prima dell’uscita della trilogia del Signore degli Anelli, colpiva la sua fervida immaginazione. E in effetti di fantasia ce n’è davvero tanta! In "Outlander" i richiami ad altri film e ad altre storie sono molteplici. Da "Predator", a "Alien", passando per "La Cosa", lo stesso "Beowulf" realizzato in computer grafica, perfino arrivando a videogiochi come Halo o Monster Hunter, per tutti quelli che masticano un po’ la materia. Ma si badi bene, con questo non si vuole relegare il film di McCain ai soliti b-movie fracassoni e privi di spessore come, ad esempio, "Doomsday", anzi. La regia di "Outlander" risulta il più delle volte efficace, nella maggior parte dei casi funzionale, e a tratti persino ispirata, come per le sequenze in cui Kainan ricorda il proprio passato. La sceneggiatura, d’altro canto, sale lentamente di ritmo cominciando con scene quasi mute e portando poco a poco a far parlare i personaggi della trama. Idea efficace che fa dimenticare anche qualche ingenuità narrativa (il momento della gara degli scudi, per quanto suggestivo, non funziona proprio).

"Outlander – L’ultimo dei vichinghi", quindi, è un film onesto, nelle cui due ore di proiezione condensa tutti gli elementi del caso. L’amore, il tormento, la lotta, la rivalità e infine il destino, emergono a testa alta dalle situazioni che la storia presenta. Un film piccolo, ma dignitoso, cui forse avrebbe giovato un cast più ricco. Il bel Jim – "Angel Eyes" - Caviezel appare sempre un po’ troppo monocorde.

Diego Altobelli (07/2009)