sabato 4 dicembre 2010

The Poughkeepsie tapes

Anno: 2007
Regia: John Erick Dowdle

Ecco un bell'esempio di mockumentary. Anzi, ecco forse l'esempio migliore finora realizzato. Si chiama "The Poughkeepsie tapes" ed è diretto dal regista divenuto poi famoso per il remake (un pochino inutile) di "Rec", "Quarantine". John Erick Dowdle mette in scena il finto (vale la pena ricordarlo spesso...) reportage dell'FBI sul cosiddetto "Macellaio di Poughkeepsie", ridente cittadina a nord di New York.

Una squadra di agenti, dopo anni di ricerche, riescono alla fine ad arrivare all'abitazione del pazzo omicida di decine di persone tra uomini donne e bambini, ma invece dell'uomo trovano un archivio di centinaia di cassette dove lo psicopatico ha ripreso le sue vittime mentre venivano torturate. Non avete idea di cosa vi aspetti...

Varie cose da dire. Innanzitutto è un ottimo esempio di mockumentary perchè ne incarna tutte le caratteristiche. C'è il tono documentaristico, naturalmente, con le interviste ai protagonisti della vicenda; c'è il ritrovamento di materiale scottante, spesso una cassetta (in questo caso è da leggere al plurale); c'è l'aspetto mitico del racconto, dove il mostro diventa una figura quantomai astratta e sfuggente, implacabile e terribile; e c'è infine il confronto diretto con il pubblico seduto in sala, che assiste disarmato e impreparato all'orrore. Su quest'ulitimo punto c'è da lodare "The Pughkeepsie tapes", inoltre, perchè riesce con precisione chirurgica ad assecondare le aspettative, senza mai tentennare o tirarla per le lunghe. Esemplare a proposito la vicenda della vittima numero uno, una ragazza di nome Cheryl che finisce per incarnare l'incubo più grande di tutte: la catarsi con il mostro, metafora evidente del genere.

Inoltre, il film di John Erick Dowdle, non filma lo splatter. Il regista sceglie di non indugiare sull'aspetto "torture-porn" della storia, ma di giocare, se così possiamo dire, con la paura allo stato più elementare. Ci sono urla, ci sono squartamenti, ci sono bambini colpiti a morte, anche stupri di cadaveri, ma il film ti porta più a immaginarlo, che a vederlo. E' questo, a suo modo, è un risultato suggestivo quanto inquietante.

E ancora. Si potrebbe tirare in mezzo il "V for Vendetta" di Alan Moore, perchè il rapporto tra vittima e carnefice è molto simile, corredato di maschere, a quello rappresentato dal fumetto prima e dal film poi, diretto dei fratelli Wachowski. Si potrebbe evidenziare la cura con cui il racconto è descritto. Si potrebbero citare anche altre pellicole come "Il silenzio degli innocenti" o "Psycho". Si potrebbe infine sottolineare come sia la morbosità a vincere, che lega chi guarda a ciò che sta guardando. E della incapacità di farne a meno. Fa paura, come l'aspettarsi un seguito.

Diego Altobelli (12/2010)

giovedì 2 dicembre 2010

L'ultimo esorcismo - The Last Exorcism

Anno: 2010
Regia: Daniel Stamm
Distribuzione: Eagle Pictures

I mockumentary, come sotto genere cinematografico, hanno l’indubbio pregio di costare poco e incassare molto. E se pure incassano poco nelle sale, alla fine tra homevideo e compagnia bella si rientra della spesa.

Il reverendo Cotton Marcus è un predicatore che ha perso la fede, soprattutto a causa del fatto d’aver visto molti, ma molti casi di possessione rivelatasi poi dei falsi. Quando viene chiamato in Louisiana per l’ennesima ragazza che si crede sia posseduta dal diavolo, Marcus mette su una troupe cinematografica e decide di provare che il cosiddetto diavolo non esiste. Solo suggestione, dice. Sarà, ma la ragazzina è capace di salire sui muri…

Si parlava di marketing, all’inizio della recensione, perché, purtroppo, da dire sull’ennesima produzione furbetta c’è poco altro. Il mockumentary dovrebbe farsi via via più interessante con la visione. Quando si parla di “The Blair Witch Project”, ad esempio, si ricorda la crescente tensione, l’angosciante ambientazione, il finale a effetto. In “Lake Mungo”, per farne un altro, si parla di improvvisi colpi di scena nello svolgimento del racconto, di trama ben costruita, di retroscena interessanti. E persino in film più tecnici, ma che hanno sfruttato lo stesso escamotage narrativo come “Rec”, si rimane colpiti della efficacia della resa. Nel film di Daniel Stamm, invece, non solo abbiamo una trama piuttosto scontata, ma anche una cattiva messa in scena. Non vengono risparmiati i classici errori di forma, quindi, come inquadrature sfocate, riprese traballanti, penombra quasi onnipresente, così da rendere una visione già pesante, persino più stancante.

Ma quello che Daniel Stamm fa, è commettere un errore a monte di tutto il film. Cioè alla base dell’idea. In “The Last Exorcism” non si parla di un documentario fatto da un prete vero su una possessione vera, che sarebbe stato interessante da vedere. Si racconta invece di un documentario falso su un reverendo falso che fa un esorcismo falso su una ragazza non posseduta. E considerando che tutto questo lo scopriamo nei primi dieci minuti di film, la domanda è: perché continuare a stare davanti lo schermo?

Ci sarebbe da dire un'ultima cosa, che riguarda il finale a sorpresa con la possibilità di un seguito. Ma evitiamo perché questo non è cinema, è solo marketing.

Diego Altobelli (11/2010)