venerdì 8 aprile 2011

Space Dogs - 3D

Anno: 2011
Regia: Inna Evlannikova e Svyatoslav Ushakov

C’è molta commemorazione in questo "Space dogs", film che segna il debutto russo nel mondo dell’animazione 3D. Girato a quattro mani da Inna Evlannikova e Svyatoslav Ushakov, "Space dogs" è stato sovvenzionato proprio dal Centro di Studio Nazionale del Cinema, in occasione del 50° anniversario del volo spaziale di Belka e Strelka, le prime due cagnette astronaute della Storia.

1962, alla Casa Bianca viene recapitato un misterioso regalo indirizzato alla figlia del Presidente Kennedy, Caroline. Il regalo è una cagnetta bianca e vivace che racconterà agli altri animali domestici di casa la "vera" storia che portò la mamma Belka e l’amica Strelka a volare nello spazio... Un tempo era lo spazio, ora è l’animazione.

Sono decisamente cambiati i tempi, e forse oggi della Guerra Fredda non rimane davvero più niente, però è innegabile quanto il film "Space dogs" sembri un tentativo (a dire il vero piuttosto maldestro) di raggiungere gli americani nel campo dell’animazione. E nel farlo, sembra quasi di assistere a una baruffa tra marmocchi, in cui il più cicciotto (la Russia) ricorda al più smilzo (gli Stati Uniti) che un tempo era lui a primeggiare, seppure in un altro campo... Nel film di Evlannikova e Ushakov - campioni d’incasso in patria - insomma c’è troppo nazionalismo, condito da un umorismo sfacciato pieno di riferimenti alle produzioni occidentali. E il che, sia chiaro, andrebbe pure bene se il risultato finale fosse esente da difetti. Invece così non è. E oltre a una sceneggiatura confusa (ma per carità, in fondo si tratta di un cartone animato indirizzato ai più piccoli e quindi si può anche chiudere un occhio sulla costruzione narrativa), si aggiunge anche una resa tecnica per quanto riguarda l’animazione ancora parecchio indietro coi tempi. Addirittura in alcuni momenti sembra di assistere a certi cortometraggi animati amatoriali visualizzabili su Youtube. Il 3D poi c’è, ma appare anch’esso di qualità altalenante.

E’ un primo lavoro, e senza essere troppo cattivi nel giudizio possiamo dire che si tratta comunque di un risultato apprezzabile. Speriamo allora che i futuri progetti possano essere davvero più... competitivi.

Diego Altobelli (03/2011)

giovedì 7 aprile 2011

Drive Angry

Anno: 2011
Regia: Patrick Lussier
Distribuzione: Warner

Macchine sportive e inseguimenti frenetici per il nuovo giocattolone hollywoodiano senza pretese firmato da Patrick Lussier, regista che ha alle spalle anni di gavetta in film horror (“San Valentino di sangue 3D” porta la sua firma) al fianco di maestri come Wes Craven. Ed è orbitando attorno al genere che si può incanalare anche questa pellicola fracassona e molto confusa in fase di scrittura che vede l’inedita coppia Nicholas Cage / Amber Heard scorrazzare in nome della vendetta sulle strade del Texas.

Piper è una biondina tutto pepe. Guida una Charger del ’69; prende a cazzotti le amanti del fidanzato; tiene letteralmente per le palle il suo datore di lavoro grasso e lascivo. Ma non ha grandi soddisfazioni dalla vita. Il riscatto arriva quindi incontrando Milton, misterioso malvivente sulle tracce di una setta satanica. Faranno una strage…

Pensando a “Drive Angry” viene in mente un enorme frullato da bere tutto d’un fiato. Non ce ne voglia il regista Lussier, che citando a destra e manca una quantità smodata di pellicole - si va da “Blues Brothers” a “Bullit” passando per “Pink Cadillac” - qualche buona scena riesce anche a regalarcela. Non male l’inseguimento della roulotte, tanto per citarne una, o il finale “sparatutto” alla “Fantasmi da Marte”. Manca allora il marchio di fabbrica. Giocare col genere può portare a grandi risultati, pensiamo a “Pulp Fiction” o a “Dal tramonto all’alba”, ma purtroppo bisogna essere anche audaci. Molto audaci, e Lussier pur con tutto l’impegno non riesce ad esserlo fino in fondo.

In questo caso, poi, bisogna aspettare un po’ per abituarsi alla recitazione dei protagonisti. Nicholas Cage è diesel nell’entrare nel ruolo, e lascia ampio spazio di manovra alla sexy e spiazzante Amber Heard, a pieno regime se qui non ha neppure antagoniste altrettanto appariscenti come nel recente “The Ward” di John Carpenter. Il risultato, l’avrete capito, è di quelli confusi, ma divertenti. Inutili, ma gradevoli. Insomma una gita in macchina con l’autoradio a palla, il vento tra i capelli e una compagnia senza pretese.

Diego Altobelli (04/2011)

mercoledì 6 aprile 2011

Kick-Ass

Anno: 2011
Regia: Matthew Vaughn

Il regista Matthew Vaughn, esordiente nel 2004 con “Pusher”, torna dietro la macchina da presa per dirigere “Kick – Ass”, pellicola ispirata alla graphic novel firmata da Mark Millar, autore del rilancio dei Vendicatori, e John Romita Jr, celebre disegnatore di comic e le cui opere vengono in questa pellicola utilizzate per raccontare il passato di uno dei protagonisti.

Dave è il tipico adolescente problematico. Orfano di madre, un padre assente, pochi amici, nessuna confraternita di cui poter o voler far parte, nessuna ragazza... quando nella sua vita arriva il giorno della svolta. Decide di indossare una identità mascherata e cercare il riscatto sotto forma di super eroe. Scoprirà un mondo di malavita organizzata e psicopatici mascherati…

Che sia nato dal cinema o dal fumetto, vero è che ormai si può parlare di sottogenere. Quello che vede una storia incentrata su un gruppo di personaggi, che si infilano un passamontagna e decidono di fare i supereroi. E se non c’è una qualsivoglia forma di mascheramento per il volto, ci sono alcuni cliché ricorrenti. Il background studentesco; gli adolescenti incompresi; una violenza esasperata; una setta segreta, ecc… Gli esempi sono divenuti nel giro di pochi anni numerosissimi. “Watchmen”, “Wanted”, i recenti “Scott Pilgrim” e “Green Hornet”; ma c’erano state anche incarnazioni cinematografiche collaterali al genere come il silenzioso “Gardener of Eden – Il giustiziere senza legge” o il divertente “Hancock”. Tutte produzioni che condividevano un medesimo campo narrativo: quello del supereroe senza superpoteri. Una specie di utopia narrativa.

Tutto questo per introdurre quindi, non senza un pizzico di snobismo, l’ennesima produzione prima fumettistica, poi cinematografica, volta a dissacrare (ancora una volta) il mondo dei supereroi “veri” come Spider-man o Superman. In questo caso (ma come in molti altri) gli autori che si gettano nell’impresa hanno curriculum eccellenti. Millar rilanciò il personaggio di The Punisher e dei Vendicatori (dati dalla stessa casa editrice che li pubblicava per “finiti”); Romita Jr, invece non ha bisogno di presentazioni in quanto ha caratterizzato per anni i disegni dei personaggi dei fumetti più famosi d’America. Il risultato che si ottiene in questa incarnazione cinematografica di “Kick-Ass” è il medesimo di sempre (e che novità, verrebbe da dire): il supereroe come figura viene bistrattata a favore di un cinismo dilagante che fa i buffetti a una violenza splatter – hardcore che definire sopra le righe in questo caso è fare facile ironia. I buoni (una bambina di 11 anni, un ex poliziotto psicopatico e un diciassettenne impacciato) tagliano, affettano, infilzano e elettrificano qualunque cosa si muova sullo schermo. I cattivi, d’altro canto, rispondono interrogando (si fa per dire) i malcapitati per scoprire le identità dei suddetti protagonisti, salvo poi sistematicamente sfuggirgli di mano la situazione e uccidere le persone nei formi a microonde (!).

Il finale? Meravigliosamente nonsense dove il combattimento clou si risolve tra la bambina di undici anni e il capo della malavita a colpi di bazooka. Si dirà che tutto è volutamente sopra le righe, e che il fumetto (altra indimenticabile opera letteraria da mettere al fianco dei grandi classici contemporanei) è decisamente più riuscito e coinvolgente del film. Ma la domanda è semplice quanto disarmante. Perché? La risposta come al solito non ci viene data, e probabilmente anche questo fa parte del suddetto “genere”, e alla fine ce ne torniamo a casa. Nicholas Cage, a sorpresa di tutti, salva il film con una recitazione una volta tanto eccellente. Il resto è nella sufficienza. La mancanza assoluta di equilibrio tra commedia e dramma lascia perplessi, ma la regia si salva. Si ride, per non piangere.

Diego Altobelli (03/2011)