sabato 11 giugno 2011

L'isola del tesoro - Takarajima

Anno: 1978
Regia: Osamu Dezaki
Puntate: 26
Produzione: TMS Entertainment
Distribuzione in DVD: Yamato Video

Jim Hawkins, orfano di padre, vive con la madre nella Admiral Benbow Inn: locanda per marinai e viaggiatori che aiuta con entusiasmo e buona volontà a gestire insieme al suo fidato cucciolo di leopardo Benbow. La vita procede tranquilla tra le varie faccende, ma una sera un misterioso figuro, un pirata di nome Billy Bones, si presenta alla porta della locanda trascinando un misterioso forziere e portando con sé tanti sospetti. Malgrado lo scetticismo iniziale il piccolo Jim stringe con Billy un rapporto di fiducia che nel tempo gli fa conoscere il vero motivo della permanenza dell’uomo nella locanda. Billy Bones sta scappando dalle mire di un pirata senza gamba che vuole impossessarsi della mappa di un tesoro sigillata nel forziere. Quando Billy Bones, braccato dai seguaci del misterioso bucaniere, verrà ucciso, Jim si ritroverà tra le mani la chiave del forziere e la mappa che questo contiene. E’ l’inizio di un viaggio alla ricerca del leggendario tesoro appartenuto al pirata Flint. A seguirlo nella caccia un manipolo di loschi figuri, un capitano coraggioso, due nobili inglese, e l’ambiguo cuoco Long John Silver, che cammina aiutandosi con una gruccia...

Nel 1883 lo scrittore scozzese Robert Louis Stevenson scrisse quello che è divenuto uno dei più famosi classici della letteratura per ragazzi: “L’isola del tesoro”. Narrato in prima persona, dalla prosa attenta, descrittiva, ma mai troppo prolissa, “L’isola del tesoro”, con i suoi personaggi pirateschi e la sua natura epica e votata all’avventura, è divenuto certamente il più famoso racconto sui pirati mai scritto. Anche grazie ad una serie lunghissima di film e versioni cinematografiche - che hanno visto tra gli altri attori del calibro di Orson Welles, Kirk Douglas, Danny De Vito, Christian Bale - il mito dell’isola e del bottino che questa nasconde ha perpetuato a esistere nel tempo.
Quasi cento anni dopo, nel 1978, Osamu Dezaki (lo stesso regista di fortunate serie animate quali “Rocky Joe”, “Jenny la tennista”, e “Lady Oscar”) decise di trasporre il capolavoro di Stevenson in animazione confezionando - ad opera della casa di produzione TMS, insieme agli sceneggiatori Haruya Yamazaki e Yoshimi Shinozaki, e contando sulla direzione artistica del grande Akio Sugino - una serie dal titolo “Takarajima” di 26 episodi che ripercorrono il viaggio d’avventura del giovane Jim Hawkins e della sua combriccola di pirati.
Leggendo il libro e guardando la serie ci si accorge da subito che Osamu Dezaki decise di porsi su un piano diverso rispetto al romanzo: assumendo cioè un atteggiamento più nozionistico rispetto a questo e approfondendo, persino inventando a tratti, il viaggio e gli incontri del piccolo Jim.
Appare evidente quindi l’origine “animata” del cucciolo di leopardo Benbow che accompagna il protagonista, utilizzato per spezzare la drammaticità di talune situazioni, come pure molti altri passaggi tra cui i più eclatanti sono sicuramente la tappa intermedia fatta dall’Hispaniola a un porto delle “indie occidentali” verso l’isola del tesoro e, soprattutto, l’enigma finale la cui risoluzione porta al ritrovamento dell’eredità del pirata Flint.

Osamu Dezaki, tralasciando l’ipotesi di seguire pedissequamente lo scritto del maestro, decise piuttosto di usarlo come traccia su cui poggiare le solide basi dei vari capitoli che formano la serie.
Ventisei episodi che si possono suddividere in cinque blocchi narrativi evidenti. Il primo è la preparazione al viaggio; il secondo appartiene alla navigazione in mare e alla conoscenza dell’equipaggio dell’Hispaniola; il terzo alla permanenza sull’isola e tutta la parte relativa al fortino; dunque la quarta, relativa alla caccia vera e propria del tesoro di Flint; e infine il ritorno a casa, con l’epilogo sui protagonisti.
Malgrado ciò che si potrebbe pensare a una prima analisi, tale suddivisione segue comunque l’ordine logico-narrativo dettato dal romanzo di Stevenson, che quindi continua a dettare tacitamente i momenti di svolta e più importanti della serie.
A ben vedere le suddette parti che compongono la serie animata, nonostante l’abilità con cui Osamu Dezaki cambi spesso il punto di vista, sono collegate da un unico tema narrativo portante: il rapporto d’amicizia tra Jim e il pirata John Silver, argomento che nel libro invece era tutto sommato accennato.
Sul legame tra i due antagonisti Dezaki “punta tutto”, elevando la descrizione del loro rapporto, eternamente diviso tra stima e rivalità, a messaggio universale di amicizia, rispetto e onore. Quello che fa Dezaki insomma è di trasformare il racconto della scoperta di un tesoro nel cuore di un’isola misteriosa, a romanzo di crescita di due pirati senza età: Jim Hawkins e Long John Silver. A prova di questo v’è lo sguardo finale che l’uomo divenuto vecchio concede al bambino divenuto uomo: un’occhiata soddisfatta e malinconica rivolta al “domani” e alla libertà del vivere, che manifesta tutta la poetica della serie.

Non contento del gioiello narrativo lasciato al pubblico della serie, caratterizzata da una regia cinematografica - fatta di campi lunghi, panoramiche e una suggestiva attenzione al corpo e alla mimica dei personaggi - Osamu Dezaki decise, anni più tardi, di tornare a parlare di quei due protagonisti e lo fece sceneggiando e dirigendo un episodio auto-conclusivo dal titolo “Un uomo chiamato Bonaccia”, pubblicato in Italia come “extra” per il mercato dell’home video, ma mai trasmesso in TV. (Nell'edizione da cofanetto della Yamato proposta in DVD possiamo godere anche, oltre che di approfondimenti e gallery, proprio dell'episodio inedito "Un uomo chiamato Bonaccia": una specie di commosso tributo alla serie e ai due protagonisti realizzato nel 1982. Molto piacevole.)

La serie televisiva invece andò in onda sui teleschermi della Rai nel 1982 e replicata solo due volte nel 1983 e nel 1986, con la sigla iniziale, piuttosto in linea con lo spirito piratesco, cantata da Lino Toffolo.

Ad oggi “L’isola del tesoro” rimane uno degli anime più riusciti, se non il più riuscito, nella storia d’animazione giapponese avente come scenario il mondo dei pirati. Un capolavoro dell’animazione giapponese (che, va detto, deve tutto al capolavoro letterario di Stevenson), di cui lo spettatore non può che rimanere affascinato. Magari accorgendosi a intonare soprappensiero il motivetto:“...Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto!...”.

Diego Altobelli (2009)

mercoledì 8 giugno 2011

I guardiani del destino

Anno: 2011
Regia: George Nolfi
Distribuzione: UIP

Liberamente tratto da un racconto del mai troppo celebrato Philip K. Dick, “I guardiani del destino” è una pellicola a metà strada tra il polpettone sentimentale, il frullato fantascientifico, e Frank Capra.

Un team segretissimo del Governo degli Stati Uniti possiede un’agenda in cui compaiono, come fossero delle linee di metrò in costante movimento, l’evoluzione storica dell’intera umanità. Un membro del cosiddetto “gruppo di aggiustamento” si fa commuovere dalla storia d’amore nata tra un promettente giovane candidato alla Casa Bianca e un’altrettanto convincente promessa della danza. Ma tra i due il matrimonio “non s'ha da fare”, e dovranno lottare duramente per convincere i Guardiani del destino a lasciarli andare per la loro strada...

Prima parte assai farraginosa, ruvida, poco fluida. Seconda parte in cui la storia riesce a decollare, ma è il veicolo che la traina a essere minato costantemente da turbolenze che non giovano allo spettacolo. Del resto George Nolfi, regista del film, doveva pur sapere che se si decide di prendere un racconto di un autore letterario, o si cerca di seguire anche un pochino la sua natura, oppure si rischia di realizzare una pellicola che alla fine non convince. Ed è purtroppo proprio il caso de “I guardiani del destino”, film che malgrado il buon cast e l’idea affascinante alla fine si ha la sensazione di smarrimento, di poca chiarezza. Matt Damon fa del suo meglio insieme alla magnetica Emily Blunt, ma i due “neo-Renzo e Lucia” vengono risucchiati in questo turbine caotico che è rappresentato dalla sceneggiatura. Per dirla tutta, sfuggono anche alcune scelte narrative che si capisce che non sono messe lì per caso, ma non si riesce a capirne il motivo. Come i riferimenti alle occupazioni dei protagonisti, o il tema della perdita, o ancora non si apprende cosa sia questo gruppo governativo segreto attorno al quale ruota il film. Aveva fatto decisamente meglio Richard Donner in "Ipotesi di complotto" (1997).

Insomma, "I guardiani del destino" è un film in cui si corre di qua e di là, attraversando porte e dimensioni, in fuga da nemici invisibili e potentissimi, per salvare un amore autentico e puro. Ecco, al Romanticismo questa volta avremmo preferito il Verismo.

Diego Altobelli (06/2011)

Kung Fu Panda 2

Anno: 2011
Regia: Jennifer Yuh Nelson
Distribuzione: Dreamworks

Lord Shen, una misteriosa quanto spietata gru, ha trovato un arma capace di annientare qualunque stile di Kung Fu: il cannone. Dopo aver usato l’arma contro uno dei più grandi maestri di arti marziali, Lord Shen si appresta a sottomettere la Cina. Spetterà al panda Po e al suo gruppo di amici e maestri, salvare il Paese dalla dittatura...

Jennifer Yuh Nelson dirige questo secondo capitolo di casa Dreamworks della saga tutta arti marziali e musica anni ’70 che strizza l’occhio al genere wuxia. Decisamente più ispirato del primo capitolo, tecnicamente al passo con i tempi, coinvolgente, il secondo episodio di Kung Fu Panda riesce ad appassionare. Personaggi collaudati, una trama meno scontata, e una maggiore consapevolezza del prodotto finale, fanno di “Kung Fu Panda 2” una pellicola decisamente godibile e divertente. Il primo episodio aveva lasciato un po’ perplessi, perché gli mancava quella spinta in più, quell’accento che la facesse elevare sulle altre. Sembrava un prodotto sperimentale, della serie: “proviamo a vedere se funziona così”. Questa volta le cose stanno diversamente, e se anche manca ancora la profondità narrativa ai personaggi di contorno (dalla tigre al cattivo Shen, sono tutte figurine senza spessore), alla fine la pellicola convince anche grazie a una regia che alterna saggiamente animazione 2D alla computer grafica, salvando dalla noia visiva altrimenti sempre in agguato... come un maestro di Kung Fu.

Nota aggiuntiva: consigliamo di vedere il film in lingua originale. Rabbrividiamo al pensiero di sentire Fabio Volo doppiare ancora Po.

Diego Altobelli (06/2011)

martedì 7 giugno 2011

X-Men: L'inizio

Anno: 2011
Regia: Matthew Vaughn
Distribuzione: 20th Century Fox

E’ un prequel, ma probabilmente anche il film più adulto della serie X-Men, oramai giunta alla sua quinta incarnazione cinematografica. A dirigere lo spettacolo troviamo Matthew Vaughn, regista del recentissimo “Kick-Ass” e che già era stato chiamato per dirigere “X-Men: Conflitto finale”. Vaughn, per motivi di famiglia, dovette passare la palla a Brett Ratner che andò in rete concludendo la prima trilogia più che dignitosamente (personaggio di Ciclope a parte).

Polonia, 1944. Quando Sebastian Shaw, un temibile scienziato nazista, uccide la madre del giovanissimo Erik sotto i suoi occhi, il futuro signore del magnetismo giura vendetta. Trascorrono circa venti anni e la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia si consolida nella drammatica situazione dei missili a Cuba. Questo sfondo politico gioca a favore di Shaw che vuole usarlo per far scoppiare la Terza Guerra Mondiale e annientare così la razza umana. Solo il gruppo di mutanti guidati da Charles Xavier, un potente telepate, può tentare di fermarlo. Erik nel frattempo si è unito a Charles, ma le loro scelte li porteranno su strade diametralmente opposte...

Eppure Bryan Singer lo aveva pure detto che il suo era un grande affresco. Che aveva pronte le sceneggiature di tutti i prossimi film degli X-Men dopo il primo e il secondo, e che sarebbe stato un crescendo di emozioni come di spettacolo. Vuoi anche l’abbandono della regia del terzo capitolo e il passaggio al “Superman Return” (personaggio di una casa editrice concorrente a quella che pubblica gli X-Men), fatto sta che nessuno gli aveva creduto. E ora, ritrovandosi davanti questo “X-Men: l’inizio”, verrebbe quasi da chiedere scusa pubblicamente a Bryan Singer che è autore della sceneggiatura del film. E sì, perché questo prequel, che vede Magneto e il Professor X per la prima volta insieme unire le forze contro il terribile Club Infernale, è davvero il più riuscito film sui mutanti finora realizzato. O quanto meno, quello dove i sentimenti, i caratteri e le scelte dei personaggi incidono maggiormente sul piano delle emozioni. Ovvio, ci sono gli effetti speciali, e tanti. I poteri lasciano come sempre senza fiato (gli sguardi basiti dei militari davanti alle meraviglie che volteggiano in cielo sono i nostri); e i combattimenti, come anche le scene d’azione, sono tra le più riuscite della serie. Ma sono i sentimenti, in questo caso, a fare la vera differenza. Finalmente maturità, verrebbe da dire. Più di uno i momenti toccanti del film, persino commoventi, dove emergono i conflitti interiori delle fazioni messe in campo. L’amicizia tra Erik e Charles viene descritta con piglio maturo e non scontato; la paura di non essere accettata per Mistica emerge con la giusta dose di coinvolgimento; e i cattivi - guidati da un grande Kevin Bacon - sono qualcosa di più di mere pedine sullo schermo, anche perché quello che fanno lascerà un segno indelebile nei protagonisti...

Ottimo il cast, a cominciare da Kevin Bacon fenomenale nel ruolo del cattivo Shaw. James McAvoy lo avevamo in realtà già visto nel letterario “Espiazione” e in “Wanted – Scegli il tuo destino”, ma nel ruolo del Professor X è praticamente perfetto. Michael Fasbender invece è un nome che ci giunge nuovo, ma qualcuno sicuramente lo avrà riconosciuto in “Bastardi senza gloria” di Tarantino.

“X-Men: l’inizio” è l’Inno alla gioia dei mutanti sul grande schermo. Mancano personaggi di peso come Wolverine (Hugh Jackman concede comunque un cameo divertentissimo), ma in questo caso è un bene. E’ il gruppo a emergere. La coralità. Il “noi”. L’insieme omogeneo di azioni e reazioni. Come nel fumetto. E per gli appassionati, beccatevi anche il bellissimo passaggio finale. Un guizzo artistico e di regia che sembra suggerire il nome di Onslaught. I cultori degli X-men sono avvisati! Gran film.

Diego Altobelli (06/2011)