martedì 1 novembre 2011

La femme du cinquieme

Anno: 2011
Regia: Pawel Pawlikowski

Definiamola pure “una strana storia di fantasmi” questa pellicola diretta da Pawel Pawlikowski. Echeggiando il Polanski de “L’inquilino del terzo piano”, il regista crea un affascinante quanto straniante racconto di redenzione. Tratto dal romanzo omonimo di Douglas Kennedy.

Lo scrittore Tom arriva a Parigi per rivedere la figlia e chiederne l’affidamento. Dopo un brutto incontro con la ex moglie, dalla quale scappa inseguito dalla polizia, Tom si rifugia in un albergo senza documenti né bagagli. Lì, il direttore gli offre un lavoro misterioso in un strano garage. Una notte, poi, Tom conosce una donna con cui instaura una inquietante relazione. Nel frattempo nell’hotel muore il suo vicino di stanza…

Rielaborando la trama del film non si può che osservare una certa confusione. E la sensazione di smarrimento persiste anche dopo i titoli di coda. Diciamolo chiaramente: poco di ciò che verrete raccontato nel film di Pawlikoski viene spiegato o chiarito. E quel poco, forse, non vi convincerà. Come si diceva all’inizio, si può pensare a una confusa storia di fantasmi, o a un racconto di smarrimento e redenzione, ma in effetti il dubbio di un lavoro riuscito a metà rimane. A fare da contraltare a questa brutta sensazione ci sono due elementi molto validi. Il primo è la recitazione del protagonista, un bravo Ethan Hawke. Il secondo è rappresentato dalla regia quasi ipnotica, qua e là sporca, in generale molto ispirata.

Se state cercando un film su cui arrovellarvi e discutere tuffatevi nelle atmosfere de “La femme du cinquieme”, forse vi piacerà. In alternativa potete sempre recuperare Polanski e vivere senza rimorsi di coscienza.

Diego Altobelli (11/2011)

My week with Marilyn

Anno: 2011
Regia: Simon Curtis

Per “My week with Marilyn” possiamo contare, da spettatori, della stessa produzione che circa un anno fa ci regalò “Il discorso del Re”. Anche in questo caso abbiamo un’altra vicenda storica, l’incontro tra il giovane Colin Clark e Marilyn Monroe all’apice della carriera. Vicenda che ha ispirato il romanzo: “Il principe, la ballerina e me” scritto dallo stesso Clark.

Il giovane Colin ama il cinema, per questo pedina gli studi di produzione e finisce per bussare alla porta di Lawrence Olivier. Notato dall’attore e regista, Colin riesce a ottenere il lavoro da terzo assistente alla regia per il film “Il principe e la ballerina”, con la bellissima Marilyn Monroe. Il tempo passato con il cast sarà per lui molto formativo…

Il produttore e regista Simon Curtis, autore soprattutto di serial per la televisione, porta sul grande schermo una storia al tempo stesso toccante e avvincente. La storia vera del giovane Colin (poi scrittore di successo) e della settimana passata insieme al mito di Marilyn tocca le corde giuste nello spettatore. Merito non solo della buona sceneggiatura, rigorosa e attenta anche nel ricostruire il periodo storico e il mondo della Hollywood classica, uno strano mix tra cinismo e agitazione, ma anche della recitazione di Michelle Williams. L’ex protagonista della serie “Dawson’s Creek” interpreta Marilyn Monroe praticamente alla perfezione. Le movenze, le espressioni, i dilemmi dell’attrice più famosa di tutti i tempi sono catturati con precisione chirurgica dalla Williams: un vero e proprio stato di grazia.

Non da meno il resto del cast, a ogni modo, pieno di nomi altisonanti. Kenneth Branagh, Judi Dench, Julia Ormond, Dominic Cooper. Tutti, come si dice, “stanno al gioco” e contribuiscono a creare il giusto feeling con la trama.

Forse non così avvincente, e minato da una certa sensazione di aleatorietà di fondo, “My week with Marilyn” ha il merito di omaggiare Marilyn Monroe facendo emergere l’aspetto più vero, drammatico e solitario, dell’attrice divenuta leggenda. Il film insomma non cattura del tutto, ma la Williams incanta.

Diego Altobelli (11/2011)

lunedì 31 ottobre 2011

Dalla collina dei papaveri - From up on Poppy Hill

Anno: 2011
Regia: Goro Miyazaki

Ritorno di Goro Miyazaki alla regia di un nuovo film d’animazione. Suo fu l’esordio con “I racconti di Terramare”, favola fantasy che però non convinse la critica. Questa volta ci prova con un racconto di formazione più vicino alle corde del padre e maestro Hayao, che guarda caso firma la sceneggiatura.

Giappone, 1963. All’interno del liceo Konan gli studenti lottano per salvare dall’abbattimento la vecchia casa dove si svolgono i corsi dopo scuola. Tra loro spiccano Umi e Shun, due giovani innamorati che scoprono di avere in comune lo stesso padre…

Tratto dalla serie omonima di manga per ragazze (i cosiddetti Shojo manga) pubblicati negli anni ’80, “Dalla collina dei papaveri” è una pellicola d’animazione sentimentale, ma dagli echi storici. Il periodo descritto è quello che precede di pochissimo le note olimpiadi a Tokyo, un momento in cui il Giappone era chiamato a guardare al futuro verso il rilancio e alla responsabilità civile. Ed è innegabile quanto questo aspetto si faccia suggestivo guardando all’oggi, il dopo Fukushima. Parallelismi storici a parte, l’ultima creazione dello studio Ghibli piace, appassiona, pur non sorprendendo come al solito. L’occhio di Goro Miyazaki si è fatto più attento e ora la sua regia appare più matura, meno acerba che in passato, ma si ha la sensazione di volare basso. Cosa assai strana, per un film col marchio Miyazaki.

Ottima invece la colonna sonora, diretta da Satoshi Takebe, che sembra accompagni i movimenti dei personaggi. Come danzassero sognando il domani.

Diego Altobelli (10/2011)

Tyrannosaur

Anno: 2011
Regia: Paddy Considine

Esordio alla regia col botto per Paddy Considine, attore e caratterista in diverse pellicole di richiamo come “The Bourne Ultimatum” e “Cinderella Man”, solo per citarne un paio. Messo dietro la macchina da presa, Considine decide di affrescare sullo schermo un dramma di solitudine estrema. Un grido di rabbia destinato a rimanere inaudito.

Joseph è un uomo problematico. Si incolpa della morte della moglie, avvenuta a causa del diabete; beve per riempire i vuoti del giorno; la notte si avventura in risse senza motivo. Una mattina, in cerca di redenzione, entra nel negozio di vestiti usati tenuto da una donna. Tra i due nasce uno strano affetto, ma Patrick ancora non conosce la storia della donna, legata a un uomo violento che la umilia in ogni modo…

Se cercate un film che possa incarnare l’espressione “cazzotto nello stomaco”, troverete in ”Tyrannosaur” di Paddy Considine ciò che fa per voi. E’ evidente quasi da subito che quello che ci si trova davanti è un dramma umano senza alcuna soluzione. E non è che Considine faccia molto per nasconderlo, anzi. Le scene di violenza rappresentano più che altro umiliazioni che i protagonisti del film sono costretti a subire senza mai (o quasi) reagire. Vedendo il film, cresce la rabbia e ci si lega a questa vicenda umana che vorrebbe aspirare a diventare storia di redenzione. La redenzione non arriva e Considine fa piovere sul bagnato quando, nel finale, calca la mano (forse pure troppo) distruggendo ogni possibilità di lieto fine. Proprio l’ultima parte del film appare un po’ forzata e potrà non convincere tutti. Molti, forse, la interpreteranno persino come un’inutile aggiunta, ma anche malgrado questa annotazione il film risulta riuscito e molto solido.

Infine, un grande Peter Mullan a prestare il volto al personaggio di Joseph, favorisce a rendere più autentica una pellicola che, in un modo o in un altro, finisce per ferire. Non è da tutti.

Diego Altobelli (10/2011)

Mon pire cauchemar

Anno: 2011
Regia: Anne Fontaine

Patrick, un buzzurro che vive di lavori occasionali, irrompe nella vita di Agathe, una ricca direttrice di una galleria d’arte, quando i loro rispettivi figli stringono amicizia. Il marito della donne propone a Patrick di ristrutturare una parte dell’appartamento e da quel momento cominciano i guai. La strana famiglia allargata dovrà vedersela con i servizi sociali e con relazioni improbabili. Gli opposti si attraggono e sono scintille…

La regista dell’ottimo biografico “Coco Avant Chanel”, Anne Fontaine, firma questa commedia frizzante sulle lotte di classe. Fontaine ci regala un primo tempo fulminante, grazie all’interpretazione di Benoit Poelvoorde (“Niente da dichiarare”, “Mammuth”), e un secondo tempo meno incisivo, ma comunque gradevole. L’entusiasmo iniziale va scemando a causa dello script - opera della stessa regista – che non tiene il passo al ritmo e al susseguirsi di gag.

Fortunatamente, a sorreggere i buchi sparsi della trama interviene l’ottimo cast di attori. I due protagonisti, Poelverde e Isabelle Huppert, tengono banco e dettano legge. Ma non sono da meno i comprimari, tra cui Andrè Dussollier nei panni di un editore che si invaghisce di una giovane donna appassionata di alberi.

Insomma “Mon Pire Cauchemar” è una pellicola appassionante all’inizio, ma fiacca nel finale. Peccato, perché se le redini non fossero sfuggite di mano prima del traguardo sarebbe stato un film da… primo posto.

Diego Altobelli (10/2011)

domenica 30 ottobre 2011

Hotel Lux

Anno: 2011
Regia: Leander Haussmann

Berlino, 1938. Il duo comico formato da Hans Zeisig e Siegfried Meyer, ironizza sulla politica interpretando improbabili dialoghi tra Stalin e il Furer. Si ride, ma solo all’inizio, perché l’atmosfera comincia presto a farsi pesante. Braccati dalla Gestapo che li vuole arrestare, i due si dividono per cercare riparo in terra straniera. SI rincontreranno anni dopo nell’Hotel Lux, il paradiso perduto delle spie e dei traditori. Zeisig si finge astrologo, Meyer sposa la comunista Frida. La farsa pericolosa odora di libertà…

Ecco un film ben scritto. Là dove la regia di Leander Haussmann non arriva, trovando un posticino dalle parti della fiction televisiva, arriva la scrittura (opera dello stesso regista). Bei dialoghi, con incisivi botta e risposta, e gran ritmo, che segue una vicenda anche complessa senza mai perdere di vista la rotta. Inoltre, il tono da commedia è vincente e la storia appassionante. A unire la materia filmica ci si mette anche il buon cast di attori. Ottimo a riguardo il protagonista Michael Bully Herbig, che ricorda con la propria mimica un Chaplin in grande spolvero.

Il film si fa interessante anche in una lettura squisitamente storica. Stalin è un paranoico in cerca di un consiglio dalle stelle. Il Comintern, un insieme confuso di personalità più attente a salvaguardare i propri interessi che quelli del partito. Infine, il mito di Hollywood sullo sfondo. E il sogno delle luci della ribalta sembra un omaggio a un cinema che non c’è più.

“Hotel Lux” è un bell’esempio di storia che riesce a toccare più corde, creando una perfetta armonia.

Diego Altobelli (11/2011)

Like crazy

Anno: 2011
Regia: Drake Doremus

Stati Uniti. Due adolescenti, Jacob e Anna, si incontrano e si innamorano. Come tutti gli amori giovani la loro unione è travolgente. Tanto che quando Anna deve tornare in Inghilterra a causa del permesso di soggiorno scaduto, decide di posticipare la partenza di un paio di mesi. Alla fine ritorna in patria, ma quando vuole rivedere il suo fidanzato iniziano i problemi. La separazione, la lontananza, il senso di abbandono. Ma tutto a misura di teenager…

Premio della Giuria al Sundance Film Festival - sia per la regia, firmata da Drake Doremus, sia per l’interpretazione dell’attrice Jennifer Lawrence, Mistica in “X-Men: First Class” - “Like Crazy” cerca di penetrare in quel campo minato che è rappresentato dal passaggio dalla giovane età a quella adulta. Facendo un parallelismo un po’ forzato si potrebbe pensare a “Like Crazy” come a un “Laguna blu” ambientato tra Gran Bretagna e Stati Uniti. La telecamera in alta definizione di Doremus ondeggia come fosse l’occhio estraneo di uno sconosciuto che spia la giovanissima coppia nei momenti salienti della loro storia d’amore. Ma pure se premiata al Sundance, in realtà la regia non convince. Ci si bacia, si ridacchia, si parla di nulla, ci si perde negli sguardi, ci si rotola nel letto… Tutto è allo stesso tempo tenero, quanto inutile dal punto di vista cinematografico. Ed è così che a circa mezz’ora dall’inizio, esaurito il dilemma legato al visto di soggiorno della giovane, si guarda l’orologio chiedendosi: “E adesso?”. La risposta è un nulla narrativo che naviga tra tradimenti e palpitazioni senza mai approfondire.

Bravi a ogni modo gli interpreti. La Lawrence è effettivamente incisiva, malgrado un paio di pose scarse. Anton Yelchin e Felicity Jones fanno il loro senza infamia e senza lode. Sì, fingono di essere innamorati.

Diego Altobelli (10/2011)

L'industriale

Anno: 2011
Regia: Giuliano Montaldo

Nicola ha ereditato dal padre una fabbrica che conta oltre 70 dipendenti e che produce pannelli solari. Ora però l’azienda è in crisi nera. Nicola non ha i soldi per garantire un rifinanziamento e in un paio di settimane sarà costretto a chiudere. Anche la moglie è distante, e sembra interessata alla corte di un giovane rumeno. Far quadrare il cerchio non è facile, ma Nicola è sicuro che ne uscirà alla grande…

Non si può criticare a cuor leggero l’opera di un regista che in qualche modo ha contribuito a fare la storia del Cinema italiano. “Tiro al piccione”, “Sacco e Vanzetti”, fino al recente “ I demoni di San Pietroburgo” sono tutte opere di Giuliano Montaldo, regista sofisticato che firma anche questo “L’Industriale”: un dramma alla Dostoevskij. Però è proprio la complessità narrativa del film a mostrare il fianco alle critiche. Ben diretto, accompagnato da una colonna sonora firmata da Andrea Morricone, e con una fotografia dai tipici toni grigiastri ad opera di Arnaldo Catinari, de “L’industriale” non convince la sceneggiatura; la costruzione drammatica; i dialoghi; la scelta di alcune scene. Il dramma vissuto dal protagonista, un grande Pierfrancesco Favino, finisce per lasciare delle zone d’ombra che però non trovano soluzione. Non v’è catarsi nel finale del film. Non c’è apice. Non ci sono picchi. Tutto dall’inizio alla fine è narrato con lo stesso tono monocorde. Peccato, perché il film offriva degli spunti molto interessanti che forse avevano bisogno di maggiore respiro o, chissà, magari di un altro approccio.

Diego Altobelli (10/2011)