venerdì 14 dicembre 2007

Una moglie bellissima

Anno: 2007
Regia: Leonardo Pieraccioni
Distribuzione: Medusa

Miranda e Mariano sono due giovani sposi che sognano di aprire una frutteria nel centro del paesino toscano in cui vivono. Un giorno però, Miranda viene avvicinata da un fotografo senza scrupoli che le propone di realizzare un calendario. La bella ragazza accetta, ma a causa di ciò il suo matrimonio va in pezzi...

Con “Una moglie bellissima” Pieraccioni, come ogni anno, propone il suo nuovo film natalizio. Anche in questa occasione torna a parlare della provincia italiana usufruendo del pantheon di attori già collaudati e ben rodati (i vari Papaleo, Ceccherini, e co.). Servendosi dei soliti toni buonisti quanto provinciali, il regista fiorentino fatica zero nel confezionare il compitino come quando si tornava a scuola dopo le vacanze. Battute qua e là divertenti, altre volte più volgari, quasi sempre comunque insipide, si sovrappongono a una regia identica a quella del “Ciclone” nel consueto calderone dei luoghi comuni sui malesseri dell’Italia che fanno tanto sorridere gli amici di Pieraccioni. Questa volta, forse perché particolarmente ispirato, il regista toscano si sposta persino alle Canarie per spiegare a un gruppo di nativi del posto cose come l’indulto, ICI, o la tassa di successione. E, ovviamente, in un film che fa del buon gusto la sua carta vincente, il nativo non può che rispondere: “Ma allora il terzo mondo siete voi!”. Di tutta risposta Pieraccioni rievoca Totò con una gag in cui cerca di spiegare pure che cosa è la nebbia… Basta.
Anche quest’anno Pieraccioni farà il pieno ai botteghini e guai a parlar male di un film italiano che porta soldi. Il talento non gli si può negare e a dirla tutta di quando in quando, dal film, emerge anche. Però, che piattume.

Diego Altobelli (12/2007)

La Bussola d'Oro

Anno: 2007
Regia: Chris Weitz
Distribuzione: 01 Distribuzione

Ci sono mondi oltre il nostro, tantissimi mondi che si stagliano in innumerevoli universi paralleli. In uno di questi, molto simile alla nostra Terra, le anime vagano al fianco dei loro padroni sotto forma di animali, e vengono chiamate daimon.
Quando a Lyra, curiosando tra le gigantesche sale della sua scuola, viene affidata una bussola capace di dare risposta a qualunque domanda gli si ponga, per lei comincia un viaggio verso il Nord, alla scoperta delle origini di una strana polvere celeste che pare interessare gli insegnanti dell’istituto. Sulle tracce di Lyra si mette l'affascinante Ms. Coulter che vorrebbe per sé la Bussola d'Oro brandita dalla ragazzina...

Il libro di Philip Pullman da cui è tratto questo "La bussola d'oro", primo film di una trilogia, non era un fantasy semplice da realizzare. Non tanto per l'enorme quantità di dettagli visivi presenti nel testo, tutti realizzati in modo stupefacente dalla computer grafica, quanto per la ricchezza delle dinamiche narrative di cui il film non poteva dare conto. Nella trasposizione cinematografica del primo dei tre libri di Pullman alcuni elementi della trama vengono cioè a mancare, con il risultato, il più delle volte, di disorientare lo spettatore che invece si aspetterebbe più profondità e, forse, più ricercatezza, nella continuità narrativa.
Così com'è, il film diretto da Chris Weitz - lo stesso di "About a boy" - risulta comunque gradevole e superiore ai mediocri "Eragon" o "L'ultima legione" (anche grazie a una commistione di elementi culturali e politici che spaziano da zingari dal nome meno insinuante di "gitziani", ai "magister" e il loro esercito di cosacchi che rispondono a un ordine di tipo clericale), ma rimane lontano dalla ricercatezza visiva dei vari Harry Potter e certamente estraneo alle terre di mezzo del Signore degli anelli.

Più vicino a "La storia infinita" di Ende, che a un fantasy classico, "La Bussola d'Oro" si lascia vedere per le variegate idee sparse nella trama, prima fra tutte quella dei daimon; le belle scenografie; l'orso che diviene re (un nuovo Falkor?); la recitazione asettica della Kidman. Ma rimane la sensazione che ci sia una certa illogicità nello sviluppo nella trama. Poco male: se è vero che stanno preparando il seguito, è vero anche che nella vita non si può che migliorare, quindi…!

Diego Altobelli (12/2007)

martedì 11 dicembre 2007

Nadia e il mistero della pietra azzurra - Fushigi no umi no Nadia

Anno: 1989 - 1991
Regia: Hideaki Anno
Puntate: 39
Produzione: NHK, Gainax
Distribuzione in DVD: Yamato Video

Nel 1989 Hideaki Anno, animatore e regista giapponese di grande talento, dà alla luce la serie “Fushigi no Umi no Nadia”, aka “The secret of blue water”, aka “Nadia e il mistero della pietra azzurra”. Ispirandosi ai romanzi di Jules Verne come “Ventimila leghe sotto i mari” e “L'isola misteriosa”, Anno confeziona ben 39 episodi in cui viene narrata l'avventura di Nadia, ragazzina dal passato oscuro, e di Jean, suo inseparabile amico con la passione per le invenzioni.

Parigi, 1889. Jean, un ragazzino in procinto di provare alla Grande Esposizione la sua ultima invenzione, vede passare una ragazza in bicicletta. Il colpo di fulmine è immediato e così Jean parte al suo inseguimento. Scoprirà il suo legame a una preziosa pietra di colore turchese e con lei inizierà un viaggio che lo porterà a scoprire, a bordo del Nautilus pilotato dal capitano Nemo, il segreto di Atlandite...

Ciò che rende "Nadia e il mistero della pietra azzurra" un'opera completa sotto ogni punto di vista e una serie assolutamente da vedere, non è riassumibile in poche parole.
Bisogna necessariamente cominciare col dire che il talento visivo e narrativo Hideaki Anno, che all'epoca era reduce da due lavori del calibro di "Punta al top Gunbuster!" (miniserie fantascientifica rivoluzionaria) e "Le ali di Oneamise", più una serie di collaborazioni con il già affermato Miyazaki, esplose del tutto, anticipando temi e visioni, stili, che verranno poi ripresi nella serie di culto "Neon Genesis Evangelion". La bravura (ma il termine usato è riduttivo) del regista giapponese è tutta concentrata nel saper improvvisare visioni e intuizioni narrative atte a correggere i limiti (non solo di budget) imposti dalla casa di produzione NHK e dalla neonata casa di animazione Gainax. Elevare suddetti confini a illuminazioni che entrano di diritto nel territorio di solito calpestato dal "genio". Gli esempi si sprecano, ma due bastano forse a rendere l'idea. Il primo nell'episodio 18 vediamo per la prima volta il Nautilus approdare nel regno sommerso di Atlantide. Non c'è clamore, non c'è entusiasmo, il tutto viene raccontato, in modo asciutto e in silenzio, lasciando che le immagini parlino al posto di mille parole - un caso unico nell'animazione giapponese. Il secondo esempio può essere riconosciuto verso l'inizio della serie, quando Nadia ha i primi turbamenti sulla sua identità. I limiti della casa di produzione imposero ad Anno di tagliare suddette sequenze perché ritenute troppo seriose e non adatte a un pubblico giovane. Anno di tutta risposta le inserì comunque, ma in bianco e nero, utilizzando gli scarti delle animazioni. E così via, tutta la serie è impostata in virtù della "visone altra", cioè gioca sull'attesa di vedere e sapere cosa avviene dopo un determinato avvenimento. La guerra, l’amore, il primo bacio, l'omicidio, la scoperta, la perdita e la conoscenza: ogni cosa si muove in modo da creare clamore e meraviglia nello spettatore.

Jean e Nadia insieme alla loro combriccola di marinai, capitani, e fuorilegge, combattono un nemico, Gargoyle - il cui nome richiama l'immobilità -, di cui non conoscono le mosse e di cui sentono parlare a singhiozzi, almeno fino all'ultimo, sconvolgente, combattimento finale. Più che un nemico onnipresente, Gargoyle, dal carattere talmente furbo e malefico che si finisce per tifare per lui (bellissima la scena in cui lancia una bomba sul gruppo di eroi che vengono colpiti in pieno, e lui di tutta risposta suggerisce "...Per sicurezza, lanciamone un'altra..."), è una sorta di nemico interiore dei protagonisti che lo vedono ricomparire nella loro vita come fanno, alle volte, certi fantasmi che si tengono nell'armadio.

Arriviamo a un altro punto importante di questa serie: la caratterizzazione dei personaggi. Anno dà il meglio di sé creando un pantheon di personalità affatto scontato e mosse dalla voglia di riscatto personale. Anche in questo caso ci troviamo di fronte uno dei casi più rappresentativi nel modo di intendere l’animazione giapponese. Ecco quindi che i banditi (un trio che richiama da vicino quelli più famosi delle serie Timebokan come "Yattaman") cominciano come criminali e scoprono che devono fronteggiare qualcuno di ancor più malefico. Si alleano, si innamorano, scappano e poi ritornano per fare del bene a quei due ragazzini che inzialmente volevano perseguitare.
E poi: Nemo è un personaggio che rimarrà quasi sempre fedele a se stesso per poi rivelare verità sul suo conto da tagliare il fiato. Electra (vi ricorda niente il nome?) si troverà a dover fare i conti con le proprie frustrazioni. Gargoyle, infine, scoprirà che... e no. Mi fermo qui. Ma il tutto, davvero, è uno spettacolo per la coscienza di ognuno che in rari casi è possibile riscontrare in altre produzioni, siano queste serie televisive, animate, film o fumetti.

Alla regia eccellente della serie, fa seguito una sceneggiatura profonda, una animazione superiore agli standard dell’epoca e una musica avvolgente (il tema iniziale non si scorda più). Il tutto condito da richiami (tantissimi e labirintici) alla religione, alla letteratura, alla fantascienza d’autore (genere quest’ultimo di cui Anno è appassionato). Un'amalgama di elementi sempre perfetta con l’unico neo del “capitolo delle isole” di cui parlo di seguito. Una serie, comunque, la cui struttura narrativa, è bene ricordarlo, raggiunge livelli altissimi e difficilmente eguagliabili.

Anno commise l'errore di spendere tutto il budget che aveva per le 39 puntate, poco prima di arrivare a metà serie. Questo comportò dei tagli netti sulla produzione (Anno si ritrovò praticamente da solo) e l’affidamento momentaneo della serie a una casa minore coreana. Intorno alla puntata 24, infatti, si assiste a quello che viene definito il "capitolo delle isole". Anche in questo caso, con una animazione scarsa e una sceneggiatura mediocre Anno mette le basi per quella che sarà un finale letteralmente al cardiopalma della durata complessiva di circa sette puntate. Se nel “capitolo delle isole” assistiamo a un tracollo visivo disarmante, l'attesa è ben ripagata da un combattimento finale che non si dimentica.

Il suddetto capitolo non fu l’unica polemica a far infuriare gli appassionati della serie.
“Atlantis” della Walt Disney fece ribollire il sangue nelle vene a molti amanti di Anno che videro scippare dal colosso statunitense il soggetto originale. Le scuse non vennero mai poiché, si difesero alla Disney, il film si ispirava casomai al film di Miyazaki “Laputa”, pellicola che inizialmente doveva ispirare la serie realizzata poi da Anno.

La serie è edita da Yamato Video che ha rimasterizzato le pellicole originali, ricostruito il doppiaggio, e reinserito le parti che in televisione erano state tagliate dalle forbici benpensanti di Alessandra Valeri Manera (la stessa che censurò "E' quasi magia Johnny", "Dragonball", "Georgie", e tantissimi altri).
Inoltre la serie in DVD è arricchita da contribuiti scritti dai ragazzi Yamato che all'interno delle copertine hanno inserito tantissime curiosità sulla serie in “pre” e “post” produzione come bozzetti preparatori e aneddoti vari.

Alla serie "Nadia e il mistero della pietra azzurra" seguì anche un film, fiacco dal titolo “Il mistero di Fuzzy” e qualche videogioco di cui il più famoso è l'omonimo Rpg uscito per Megadrive, più o meno introvabile, ma all'epoca di fattura notevole.
Serie complessa, ben costruita e che ha l'onore di aver consacrato uno degli autori più importanti e visionari del nostro tempo: Hideaki Anno, che tra l'altro cadde in depressione alla chiusura della serie. Si risollevò poco più di quattro anni dopo con un altro capolavoro dell’animazione giapponese: “Neon Genesis Evangelion”.

Diego Altobelli (12/2007)

Eastern Promises - La promessa dell'assassino

Anno: 2007
Regia: David Cronenberg
Distribuione: Eagle Pictures

David Cronenberg per la prima volta si allontana dal suo Canada per raccontare un film in cui, dopo “A history of violence”, torna a dirigere Viggo Mortensen. Questo “Eastern Promises” è un thriller compatto che, rispettando tutti gli stilemi del noir, racconta con incisività il peso che hanno le scelte sulla vita dell’uomo.

Anna, una ostetrica, riesce a far partorire una ragazza incinta, ma in fin di vita. Dopo la morte della giovane, per scoprire le origini del piccolo orfano e capire a chi darlo in affidamento, Anna comincia a fare delle indagini partendo da un diario segreto scritto in lingua russa. Scoprirà legami con la mafia...

In “Eastern Promises” il dramma non è mai urlato, i personaggi si muovono lenti, insicuri, e profondamente fragili, nello scenario che il destino ha tracciato per loro.La pellicola è costruita intorno a tre elementi. Abbiamo la bravissima Naomi Watts, l’ostetrica Anna idealista e impulsiva, che tenta di salvare la vita al piccolo motivata dal non essere riuscita a “salvare” il bambino che invece portava dentro di sé. E c’è Kiril, il figlio del boss, un intenso e commovente Vincent Cassel, che deve accettare le leggi che la malavita gli impone pur andando contro quelli che sarebbero i suoi veri ideali: amicizia, onore e rispetto.
In mezzo ai due troviamo un grande Viggo Mortensen, che tenta di assumersi il ruolo di ponte, ideale ed esistenziale, tra la vita di Anna e quella di Kiril. Il film, rispettando sapientemente i ritmi, i respiri e le atmosfere del genere noir, ci suggerisce che questa unione tra i due mondi è ancora possibile. Proprio lì dove, pare, non possa più esserci spazio per la misericordia.

Cronenberg, da sempre attento scrutatore del corpo per ricercarne all’interno la vera essenza dell’uomo, in questo “Eastern Promises” indugia con partecipazione registica sulle ferite del corpo, spesso avvenute da armi da taglio, e sul suono che queste lacerazioni provocano al contatto con la materia organica. Splendida a questo proposito, la scena “clue” del film in cui vediamo Viggo Mortensen combattere nudo in un bagno turco contro due mafiosi. Diretta con lucida emotività, la sequenza è una delle migliori scene d’azione degli ultimi anni per la capacità che ha di trasmettere il senso di violenza, sofferenza e resistenza di cui è capace il corpo umano. Da vedere.
Inoltre Cronenberg fa di più. Là dove non arriva con il “gore”, il regista canadese giunge con i ricordi, raccontati dai numerosi tatuaggi dei protagonisti.
L’atto del tatuare è già sinonimo di violenza - inteso come atto non previsto in Natura - che l’Uomo infligge al proprio corpo. Qui l’autolesionismo si spiega come unico modo di trattenere la memoria delle proprie scelte. Il “ricordo”, infatti, di per sé è estraneo all’Uomo che in Natura è nudo e puro nel corpo come nella mente. Il tatuaggio diviene quindi l’allegoria dei segni indelebili che il “vivere” lascia nell’individuo. Solchi talmente profondi da non consentire, in ultima analisi, possibilità di tornare indietro e riacquisire la vera, originale, essenza umana.

Film complesso, teso, e sostanzialmente bellissimo. Dopo l’ottimo “A history of violence” Cronenberg firma un altro avvincente, ma non facile, film sull’incapacità di operare univocamente sulla propria vita e su quella degli altri. Profondo.

Diego Altobelli (12/2007)
estratto da http://filmup.leonardo.it/easternpromises.htm