mercoledì 22 dicembre 2010

Tron - Legacy

Anno: 2010
Regia: Joseph Kosinski
Distribuzione: Walt Disney

Ambiguo seguito del leggendario "Tron" del 1982, che introduceva al cinema l’idea di realtà virtuale. Questo “Legacy” ne arricchisce l’ambientazione, anche grazie al 3D, ma perde un po’ in termini di spontaneità e chiarezza narrativa.

Kevin Flynn, ora scomparso, è il direttore nominale della multinazionale di informatica Encom. Sono trascorsi oltre venti anni da quando Clou, alter ego di Kevin Flynn, è diventato padrone assoluto del mondo virtuale di Tron. Alan, il figlio di Flynn, è convinto che il mondo informatico deve essere condiviso con tutto il mondo, liberamente e gratuitamente, per questo rifiuta di prendere il posto del padre. Ma quando, tramite un vecchio macchinario, si ritrova nel mondo di Tron, sarà costretto ad affrontare l’alter ego digitale del padre e cambiare idea in merito al suo futuro…

Per chi vide “Tron” quello che colpisce di questo “Tron – Legacy” è che potrebbe essere visto come un terzo episodio, e non un seguito del film del 1982 diretto da Steven Lisberger. Infatti la trama di “Legacy” racconta eventi che non erano stati narrati nel primo capitolo, dove il cattivo era Master Control Program, un’enorme intelligenza artificiale. Il film diretto da Joseph Kosinski quindi fa un salto in avanti un po’ troppo lungo rendendo una trama già di per sé non chiarissima (e diciamocelo: altamente improbabile anche per il genere) persino più farraginosa. “Tron Legacy” quindi delude le aspettative del vecchio pubblico di appassionati, nel tentativo di conquistarne di nuovi. L’operazione è riuscita a metà, in quanto da una parte il look generale del film appare più accattivante, avvolgente e realistico, perfettamente al passo coi tempi; dall’altra si perde un po’ in termine di stupore. Manca quella – chiamiamola – follia descrittiva che caratterizzava il primo episodio, come pure una certa temerarietà e ironia di fondo. Queste cose sono un po’ difficili da capire se non si è visto il primo episodio, e quindi il consiglio è quello di recuperarlo prima di vedere questa nuova versione.

Se non si avrà occasione di farlo, comunque, si potranno godere di oltre due ore di effetti speciali, un 3D convincente, combattimenti e un finale di grande pathos anche se minato da un messaggio (quello sulla condivisione del mondo di Tron) non proprio chiarissimo. Ultimo appunto sugli attori dove Jeff Bridges, alquanto indeciso se abbracciare o meno la filosofia zen (vedere il film per capire) torna ad addestrare un figlio, Garrett Hedlund, piuttosto impulsivo, anche dal punto di vista recitativo. Il migliore in campo è Michael Sheen, lasciato a briglie sciolte fa della recitazione il suo campo di battaglia naturale. E li batte tutti.

Diego Altobelli (12/2010)

martedì 21 dicembre 2010

Awake - Anestesia cosciente

Anno: 2008
Regia: Joby Harold
Distribuzione: Eagle Pictures

Il film "Awake", esordio alla regia per Joby Harold, è un thriller di ispirazione metafisica. Clayton è un bel rampollo orfano di padre in attesa di ricevere un cuore nuovo. La madre del ragazzo vorrebbe affidare l’operazione al medico di famiglia, ma Clay insiste affinché sia il dottor Jack Harper, suo amico e intimo confidente, a dirigere l’intervento.

Tutto sembra andare secondo regime, ma quando il ragazzo si trova sotto "i ferri" si accorge di non essere del tutto anestetizzato. Il suo corpo, infatti, continua a sentire dolore, senza potersi però muovere o chiamare aiuto. E’ la cosiddetta "anestesia cosciente". Per resistere al dolore di un intervento a cuore aperto Clay si rifugia nei suoi ricordi, ma proprio lì scoprirà cose dolorose sulla sua vita...

Il presupposto è di quelli interessanti, la realizzazione è di quelle mediocri. Malgrado il cast: il "buono" Terrence Howard, lo "schianto" Jessica Alba, e il "jedi" Hayden Christensen, il film finisce per fallire il suo lancio. Commettere il fallo in area. Mandare a monte la partita. Inizia lento, lentissimo, con trenta minuti di antefatto che "preparano il campo" ad una trama che in qualche modo (considerando il titolo) già ci si aspetta. E quando arriva il momento topico del film, ovvero il momento dell’incisione in difetto di anestesia, si ha la sensazione che questo duri troppo poco. Si va oltre allora, speranzosi, giungendo a quello che dovrebbe essere il giro di vite della trama, la sua svolta, ma anche lì il colpo di scena viene "gestito male" da una regia troppo frettolosa, svelandolo senza concedergli il giusto respiro narrativo.

A favore di cosa tutta questa fretta? Difficile dirsi. Il tema del "ricordo" come tragitto da percorrere per scoprire peccati dimenticati, non è nuovo al Cinema, ma in questo caso sfugge l’effettiva meccanica per cui un uomo sotto i ferri e a cuore aperto (!), invece di svenire, continui a rimanere cosciente e a pensare ai "fatti propri".

Insomma, ad una trama pretestuosa si unisce anche una improbabile realizzazione drammatica, e il film annega in un oceano pasticciato di domande. Il presupposto, lo ripetiamo, era interessante, ma il "tiro" è andato corto. Troppa fretta nel concludere per l’esordiente Joby Harold che realizza una pellicola da vedere solo in "dvd", il sabato sera, con la pioggia e senza amici da chiamare.

Diego Altobelli (2008)

Alfie

Anno: 2004
Regia: Charles Shier
Distribuzione: Uip

Alfred-Alfie-Elkins, è un giovane ragazzo di Manhattan che fa la bella vita lavorando per una piccola ditta di Limousine in affitto. Alfie, diviso tra il suo impiego di autista e i suoi sogni di indipendenza, vive con spensieratezza disarmante i suoi anni tra incontri fugaci, locali alla moda, e tante belle ragazze che lui tradisce sistematicamente non sentendosi mai pronto per una storia a lungo termine. Un giorno però la vita di Alfie cambia registro: quando scoprirà di avere un figlio, il giovane si troverà costretto a mettere in discussione il suo stile di vita e riflettere seriamente sui suoi sbagli...

Remake di discreta fattura di un film uscito alla fine degli anni settanta e interpretato, nell'originale, da uno splendido Michael Caine. L'originale Alfie divise il pubblico e la critica che lo giudicò forte e spiazzante, ma anche divertente e innovativo. Ora, a quasi un ventennio di distanza, il confuso personaggio di Alfred Elkins rivive nei panni di Jude Law in quella che potremmo definire una vera e propria prova da attore, dove la regia di Charles Shier funge solo da mero contorno.

La nuova pellicola è girata con una prevalenza di primi piani e stacchi rapidi che ricordano, con una adeguata fotografia, la pop-art degli ultimi trent'anni. Alfie è un lungo monologo riflessivo sulle insicurezze dei nostri tempi che costringe lo spettatore a vestire i panni di confidente del protagonista, a discapito del suo coinvolgimento emotivo. D'altro canto se la regia risulta accademica, gli interpreti sono davvero bravi interpretando personaggi che sembrano usciti, eterei, da una realtà che pare assumere, con il proseguire della vicenda, valenze simboliche. Degne di nota le musiche, interpretate da Mick Jagger e Dave Stewart, che riportano alla mente la malinconia segreta degli anni settanta. "Alfie" susciterà reazioni contrastanti: ad alcuni potrebbe piacere per la sua originalità, altri, invece lo odieranno per la sua irrisolutezza.

Diego Altobelli (2004)

17 Again - Ritorno al liceo

Anno: 2009
Regia: Burr Steers
Distribuzione: Warner Bros.

Ecco un altro soggetto che di tanto in tanto si rifà vivo sul grande schermo. Quello dell'adulto che ritorna bambino, o viceversa, che insomma per qualche strana ragione torna indietro nel tempo...

Gli esempi sono stati numerosi da "La vita è meravigliosa" del maestro Frank Capra, fino ai recenti "The family man" con Nicholas Cage, o "30 anni in un secondo" con Jennifer Garner. Prima di questi ultimi s'era visto "Big" con Tom Hanks, ispirato al nostrano "Da grande" con Renato Pozzetto.

Mike O'Donnell è un quarantenne disilluso e apatico che sogna di tornare al liceo. Detto fatto. Un angelo finge di gettarsi da un ponte e Mike, per salvarlo, si getta a sua volta in un vortice che lo fa tornare ad avere il corpo di un diciasettenne. L'uomo ora bambino, però, dovrà vedersela con la figlia, corteggiata da un bellimbusto, tentando nel contempo di aggiustare una vita che sembra destinata a segregarlo nel ruolo di perdente...

Operetta lieve, questa di "17 again", tutta architettata per rispolverare Zac Efron, a secco dopo il successo di "High School Musical", e Matthew Perry, ormai quasi dimenticato protagonista della serie Tv "Friends". Il risultato è di quelli che ti aspetti: senza infamia e senza lode. Qualche trovata divertente, come il giovane Mike che deve riconquistare il cuore della futura moglie che pare non riconoscerlo, o il corteggiamento "barely legal" che fa un ragazzo nei confronti della figlia, ma il tutto si riduce a un salto a canestro senza marcatori. La schiacciata va a segno, ma come partite abbiamo visto decisamente di meglio. E neppure la simpatia degli attori salva dalla noia un sottogenere cinematografico che da anni ha detto tutto.

Diego Altobelli (2009)

Alvin Superstar 2

Anno: 2010
Regia: Betty Thomas
Distribuzione: 20th Century Fox

Se avete amato la storia leggera e tenerissima di "Alvin Superstar", apprezzerete anche questo secondo capitolo.

Il trio dei Chipmunks è ormai affermato come realtà musicale mondiale. Ma senza un titolo di studio, anche loro tre non sono niente. Così, eccoli catapultati al liceo dove tenteranno di salvare il programma di musica. Ma tra i banchi di scuola ci sono le Chipette a dargli battaglia a suon di pezzi presi in prestito dalla discografia di Beyoncé e Kate Perry…

Chiaro che per vedere un film come "Alvin Superstar 2" dovete stare in serata. Se sarete nel giusto stato d’animo, vi aspettano un paio di ore di puro divertimento, a tratti perfino demenziale. Manca quella ventata di aria fresca che aveva caratterizzato il primo episodio, ma anche così, con l’inserimento delle Chipette (carina la lotta dei sessi che si inscena), il tutto fila via liscio come acqua.

Meno umanità (con un cast di attori ridotto all’osso), ma anche più ritmo. Vince la musica, alla fine. E all'uscita dalle sale fa sorridere la sensazione generale di essere stati presi per il naso da Alvin, ancora una volta.

Diego Altobelli (2010)

The Road

Anno: 2010
Regia: John Hillcoat

Tratto dal romanzo di Cormac McCarthy vincitore del premio Pulitzer nel 2007, "The Road" diretto dal regista John Hillcoat mantiene intatto la sua natura evocativa e violenta.

In un futuro imprecisato il Mondo è alla deriva. Bande di uomini e donne si aggirano per città vuote alla ricerca di case da depredare e persone da mangiare. In questo scenario inquietante, un uomo e suo figlio cercano di rimanere in vita, seguendo la strada, ma tenendosi anche a dovuta distanza da quella…

La grandezza del testo di McCarthy sta nella volontà di raccontare una storia crepuscolare rifiutando categoricamente ogni atto eclatante, ogni gesto eroico, qualunque evoluzione narrativa che potesse portare la storia nel territorio letterario che appartiene al “genere”. McCarthy, insomma, ha raccontato una storia di personaggi normali, ma inseriti all’interno di un contesto senza speranza: la fine del Mondo, appunto. Volutamente non ci viene spiegato nulla di quanto è accaduto alla Terra, e a fare compagnia il lettore (e ora lo spettatore) sono solo i ricordi dei due personaggi, le loro suggestioni e le loro emozioni. La forza di "The Road" è che quelle emozioni diventano il testo. Il romanzo. Dimostrando al lettore che non c’è bisogno di altro.

Il film di John Hillcoat rispetta fedelmente il testo di McCarthy, divenendo a tratti persino didascalico. Come si diceva all’inizio, mantiene intatta la natura evocativa e violenta, onirica e crepuscolare. Bravissimi gli interpreti tra cui spiccano i protagonisti Viggo Mortensen, capace di espressioni tanto umane da sembrare impossibili; Charlize Theron, il cui personaggio in questo rifacimento cinematografico viene leggermente approfondito; e il bambino Garret Dillahunt, efficace. Compare anche un irriconoscibile Robert Duvall nei panni di un vecchio uomo, la cui interpretazione non si dimentica facilmente.

Diego Altobelli (2009)

Codice Genesi (The Book of Eli)

Anno: 2010
Regia: Albert e Allen Hughes
Distribuzione: 01 Distribuzione

Giunge nelle sale questo “atto di fede” dal titolo Codice Genesi (decisamente meglio l’originale The Book of Eli) per la regia di Albert e Allan Hughes che un po’ a sorpresa si rivela un “western post-atomico”.

Eli vaga da solo per le lande deserte di un’America sopravvissuta a una catastrofe atomica. Sul suo cammino i predoni mangiano altri esseri umani alla ricerca di acqua. Lui però, ostinatamente, prosegue il suo cammino verso ovest, portando con sé una copia (l’ultima) della Sacra Bibbia. Quando Eli raggiunge una cittadina, il despota Carnagie scopre il libro e vuole impossessarsene per sottomettere l’umanità…

I fratelli Hughes si sono fatti le ossa tra video musicali e cortometraggi, prima di approdare al cinema con il biopic La vera storia di Jack lo squartatore con Johnny Depp e Heather Graham. E a voler essere onesti la fotografia da video clip è la prima cosa che salta agli occhi. Le scenografie e i costumi echeggiano gli anni ’80 e sembrano usciti direttamente da Wild Boys e We don’t need Another Hero, rispettivamente dei Duran Duran e di Tina Turner. In sceneggiatura invece, la prima parte in solitaria del protagonista - un grande Denzel Washington - tipica della filmografia “post-atomica” (pensiamo ai recenti "Io sono Leggenda" e "The Road", o al sempre verde "Mad Max") qui appare un po’ troppo statica e noiosetta. Il personaggio gira a vuoto e il tragitto verso ovest sembra un po’ illogico (per fare un esempio a un certo punto Eli incontra nuovamente dei personaggi visti in precedenza: come è possibile, ci si chiede, se procede sempre verso ovest?).

Buone le interpretazioni. Denzel Washington tiene il film facendo incontrare in campo neutro Ken il guerriero e Malcolm X (non è uno scherzo); più omogeneo Gary Oldman, la cui fine ricorda quella di Scarface; convincenti le protagoniste femminili Mila Kunis (uno schianto) e Jennifer Beals (Flashdance).Ma come si diceva, per trovare mordente bisogna aspettare la seconda metà del film, quando The book of Eli rivela le vere intenzioni: quelle di voler essere un western a metà strada tra Sam Peckinpah e Sergio Leone (con tanto di omaggio musicale a Ennio Morricone fischiettato da uno dei predoni al soldo di Carnagie). Da quel momento in avanti il film, oltre a farsi cinematograficamente più interessante (splendido il piano sequenza per la scena dell’assedio alla casa nel deserto), rivela anche la sua natura mistica. Il messaggio di fede che vuole inviare.

Albert e Allan Hughes firmano una parabola sulla speranza. Sul mistero della fede. Sull’incomprensibile che diviene il messaggio universale inviato da Dio e rivolto a tutti. Per spiegarlo, i registi usano un background (quello del futuro post-atomico) per natura flessibile a qualunque tipo di situazione, e in effetti in The Book of Eli c’è un po’ di tutto. Questo a conti fatti il suo unico limite, non necessariamente un difetto. Troppo laborioso. C’è da scommetterci: non verrà capito da nessuno, o quasi.

Diego Altobelli (2010)

domenica 19 dicembre 2010

Prince of Persia - Le sabbie del tempo

Anno: 2010
Regia: Mike Newell
Distribuzione: Warner Bros.

L’esperienza di Mike Newell (regista tra gli altri di "4 matrimoni e un funerale", "Donnie Brasco", "Harry Potter e il calice di fuoco") viene messa al servizio di un blockbuster fracassone, ma remunerativo. Quanto meno sulla carta. “Prince of Persia – Le sabbie del tempo” sfrutta niente meno che un trend nato nel 1989 sui personal computer. Nel videogioco in questione si prendevano le vesti di un principe spadaccino che, per salvare in un colpo solo principessa e regno, veniva messo alla prova da numerosi trabocchetti e un cattivissimo visir. Nella trasposizione cinematografica sembra non mancare niente per lanciare una nuova saga cinematografica...

Il figlio adottivo del re di Persia viene accusato della morte del padre e cacciato dal regno. Per provare la sua innocenza e scoprire il vero traditore si farà aiutare da una agguerrita principessa, in possesso di un magico pugnale. L’artefatto è in grado di far tornare indietro nel tempo, ma capirne il funzionamento non sarà facile...

Evidentemente alla Disney avevano voglia di lanciare un’altra saga di successo dopo la trilogia dei “I Pirati dei Caraibi”. Gli ingredienti ci sono tutti, e a produrre l’ennesimo giocattolone per tutta la famiglia c’è ancora il noto Jerry Bruckheimer. Un buon cast formato da Jake Gyllenhaal, Ben Kingsley e Alfred Molina dovrebbe assicurare un lavoro ben fatto... se non fosse che la sceneggiatura è tutta da riscrivere. Prince of Persia è il classico film in cui già dalle prime battute ci si rende conto che qualcosa non va. Fiduciosi, si procede nella visione, ma una trama frettolosa e dialoghi tagliati con l’accetta finiscono per confermare la sensazione iniziale. Peccato, perché è evidente lo sforzo produttivo. Il film di Newell gode di grandi effetti speciali e una ambientazione certamente magica. Purtroppo però riferimenti all’Iraq e dialoghi troppo improbabili per il tempo in cui la storia si sviluppa rovinano il grande lavoro.

Oltretutto la recitazione del protagonista Gyllenhaal non convince: l’attore sembra più concentrato a fare pose plastiche e ammiccare, che a recitare. Il premio Oscar Sir Ben Kingsley non si rinnova, proponendo un personaggio simile a quanto visto nel fantasy “L’ultima Legione”. Su tutti spicca Alfred Molina, che aveva le carte in regola per essere il vero protagonista del film.

Insomma, Prince of Persia è il film che si ispira al videogioco omonimo e che cerca di catturarne l’essenza. Operazione riuscita a metà a causa del debole intreccio.

Diego Altobelli (05/2010)