venerdì 6 luglio 2012

C'era una volta in Anatolia

Anno: 2012
Regia: Nuri Bilge Ceylan
Distribuzione: Parthénos

Qualcuno si ricorderà del film "Le tre scimmie" premiato a Cannes nel 2008, ora lo stesso regista propone un’altra opera poetica ma sontuosa, malinconica ma crudele. Il turco Nuri Bilge Ceylan dirige un thriller atipico, un poliziesco libero da ogni condizionamento di genere.

Un commissario e la sua squadra di poliziotti, procuratori e medici legali, scortano il sospettato di un delitto sul luogo dove avrebbe sepolto un cadavere. Il viaggio dura una notte, ma funge da alibi ai personaggi per riflettere sulle loro vite. Alla fine l’oscurità incontrerà l’alba, e questa non darà redenzione a nessuno...

Diviso in tre parti, ognuna delle quali dedicate a uno dei personaggi principali, il film è un difficile rompicapo sull’esistenza umana, portato avanti con dei dialoghi che somigliano a delle confessioni.
Si parla della vita, dell’amore, della morte. I personaggi si interrogano su una infinità di argomenti, sempre nell’oscurità, sempre con lo stesso tono rassegnato. Come in un’opera teatrale, i personaggi non esprimono sentimenti violenti, ma quieti e arrendevoli. I dialoghi sembrano voler costruire un unico lungo monologo senza soluzione. E la spiegazione, del caso di omicidio come della vita, troverà solo l’attesa.

Nuri Bilge Ceylan tratteggia un piccolo, grande capolavoro esistenziale, come il "C’era una volta in America" di Leone, ma al suo modo, con i suoi tempi, e chiedendo al pubblico uno sforzo immane per superare questo viaggio in una selva scurissima e desolata. Una candela illumina il viso di una donna in un universo fatto di soli uomini. Una strada si allunga verso il nulla. Un cadavere aspetta di essere riconosciuto. Un film visivamente splendido, quasi ipnotico, e un Cinema, quello di Ceylan, che somiglia a quello di un Tarkovskj.

Esistenziale, attendista, dilatato. Fatto di capolavori indiscutibili e di profonda disperazione.

Diego Altobelli (06/2012)

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